Tumori infantili, Bergamo
scommette sulle Car-T cell

Il Papa Giovanni in prima fila nella ricerca di questa nuova terapia immunologica. Protocolli internazionali per tutti i piccoli pazienti.

Ci sono sguardi impossibili da dimenticare. Soprattutto se la luce che li fa brillare giunge nuova e sicura, a conferma che sì, s’è lavorato bene. «Ricordo alla perfezione un fatto che mi ha molto colpito – racconta Massimo Provenzi, responsabile del reparto di Oncologia pediatrica dell’ospedale Papa Giovanni XXIII –: un giorno entra in reparto una ragazza, avrà avuto vent’anni, al momento non l’ho riconosciuta».

Era una bambina curata dall’équipe diretta dal dottor Provenzi anni prima, «era tornata dicendo che voleva fare qualcosa per il reparto, per i bambini». La bambina guarita e cresciuta è diventata una volontaria, nel reparto che l’ha vista lottare, sperare e rifiorire. «È il segno che questo legame non si spezza mai», commenta il medico che con i colleghi Eugenia Giraldi, Carlo Foglia, Federica Bruni e Laura Cavalleri oltre a uno specializzando segue «circa 40 nuovi casi all’anno».

Segno anche che i tumori infantili devono fare meno paura, perché i progressi della scienza e il centro che abbiamo la fortuna di avere alla Trucca consentono maggiori possibilità di guarire, ogni giorno di più. I numeri che fornisce Provenzi in occasione della 18ª Giornata mondiale contro il cancro infantile che si celebra ogni anno il 15 febbraio, lo confermano: «Nel tempo la cura delle neoplasie pediatriche ha raggiunto un netto miglioramento, con una possibilità di guarigione intorno al 75 per cento. Anche se c’è ancora uno zoccolo duro, ci riferiamo ad esempio ai neuroblastomi metastatici e ad altre forme particolarmente aggressive, mentre maggiori successi si hanno oggi nelle leucemie linfoblastiche infantili, che raggiungono percentuali di guarigione superiori al 90%». E per quanto riguarda la leucemia linfoblastica acuta, si è riusciti a passare da percentuali di guarigione dal 50 al 90%. Di più: «Siamo probabilmente alla soglia di una rivoluzione nel campo della terapia contro le neoplasie pediatriche – aggiunge Provenzi – grazie alla possibilità di utilizzare anticorpi monoclonali che possono quindi fornire una terapia bersaglio contro la forma specifica di neoplasia del paziente». Una terapia individualizzata, usata in associazione alla chemioterapia tradizionale per migliorare i risultati e ridurre gli effetti collaterali.

«Ancora più importante è lo sviluppo delle Car-T cell – continua il medico –, una forma di terapia immunologica in cui si addestrano i propri linfociti a combattere la forma neoplastica», un campo di ricerca dove l’ospedale di Bergamo è in prima fila. Più armi e sempre più mirate «che potrebbero migliorare ulteriormente i risultati, soprattutto in quelle forme con percentuali di guarigione molto insoddisfacenti». Ma dietro al recupero e al sorriso ritrovato dai bambini e ragazzi che approdano al reparto di Oncologia pediatrica del Papa Giovanni; dietro alle spalle delle notti finalmente non più insonni dei loro genitori, non ci sono soltanto infusioni in vena o protocolli da seguire: «L’ambizione – sottolinea Provenzi – non è solo di trattare la malattia, ma di riuscire anche a prenderci carico, nella fase terapeutica, di tutte le problematiche psicosociali che ruotano intorno a un bambino con una diagnosi di una forma neoplastica».

E se il concentrato di expertise (competenze) consente all’ospedale cittadino di fare un trattamento mult idisciplinare, il lavoro di squadra è altrettanto fondamentale per poter realizzare progetti che vanno oltre la pura assistenza quotidiana. Un lavoro di squadra con il volontariato, potente polmone dei reparti di largo Oms. «Negli ultimi anni, grazie al sostegno delle associazioni di genitori “Con Giulia Onlus” e “Il sorriso di Gaia” – prosegue Provenzi – abbiamo potuto realizzare alcuni progetti importanti». Quello che si intitola «Quasi a casa», con un’infermiera in più pagata dall’associazione che va al domicilio di questi bambini per i prelievi ematici e le medicazioni: ciò consente che i bambini possano trascorrere un giorno di più a casa, in famiglia, creando anche un rapporto diverso tra personale infermieristico e bambino con la sua famiglia. Dallo scorso anno è attivo il progetto «Muoviamoci insieme»: una fisioterapista per 10 ore la settimana avvia i bambini alla mobilizzazione prococe, perchè non rimangano sempre a letto.

Inoltre, per partecipare «a protocolli di studio e ricerca clinica internazionali, avevamo bisogno di avere una biologa che si occupasse di raccogliere i campioni di tessuto – spiega Provenzi –, inviarli ai centri di riferimento, tenere aggiornati i database internazionali del protocolli a cui sono iscritti i bambini». Ora c’è e «tutti i bambini sono iscritti a protocolli internazionali di ricerca clinica, per cui si può applicare loro la migliore terapia del momento per quella determinata patologia. E il bambino partecipa a una ricerca che migliora i risultati, per tutti». Poi c’è la Scuola estiva in ospedale, l’unica in Italia. «La prima cosa che ti chiedono i ragazzi quando si ammalano – confida Provenzi – è: “come faccio adesso con la scuola?”. Hanno paura di rimanere indietro. E siccome, come diceva Giulia Gabrieli, la malattia non va in vacanza, da noi anche la scuola non ci va, così si può, alla fine delle cure, risalire sul treno senza aver perso nulla». Anche una lezione di algebra è terapia.

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