Lavoro e figli, che fatica per le donne
Bergamo, oltre mille lasciano il posto

I dati del 2018: nel primo anno di vita del bambino 1.080 dimissioni contro le 737 del 2012. Crescono solo dirigenti d’azienda e imprenditrici. Resta il gap salariale: le manager guadagnano il 44% in meno dei colleghi maschi.

Come ogni anno l’8 marzo, giornata internazionale della donna, si torna a parlare dei princìpi di uguaglianza e dei diritti di parità con «l’altra metà del cielo». E come ogni anno i numeri confermano che la strada da percorrere nel mondo del lavoro per ottenere gli stessi trattamenti è ancora lunga. In Italia, secondo l’ultimo rapporto Istat, nel 2017, il livello di occupazione femminile ha raggiunto il 48,9%. Il nostro Paese è tuttavia penultimo nella classifica europea – precede solo la Grecia – sulla quota delle donne che lavorano (62,4%).

Superiori alla media nazionale i numeri bergamaschi dove, nella fascia tra i 15 e i 64 anni, le donne occupate sono il 54,2% del totale, contro una media regionale del 59,3%. Detto questo, negli ultimi dieci anni, denuncia la Cisl di Bergamo, in provincia si sono persi 6 mila posti di lavoro. Tra le cause principali, la difficoltà di conciliare il lavoro con la cura dei figli e della famiglia. I numeri che fornisce il sindacato parlano chiaro: le dimissioni nel primo anno di vita del bambino sono passate dalle 792 del 2012 (di cui 55 padri) alle 1.435 del 2018 (con 355 domande dei partner maschi). E sono già 213 nel 2019, 51 delle quali presentate dai papà.

Prosegue invece più spedita la corsa delle donne che raggiungono i ruoli apicali in azienda. Infatti, la ripresa dei dirigenti privati è guidata dalle donne che, pur rappresentando solo il 17,1% del totale, sono cresciute del 32,7% nell’ultimo decennio, a fronte di un calo del 10,3% degli uomini (dati Manageritalia). In Lombardia, la provincia di Bergamo si colloca al quarto posto (vedi tabella), con 273 donne dirigenti pari a un «misero» 11%. «Questo è sicuramente dovuto a una forte presenza dell’industria – spiega Luisa Quarta, coordinatrice Gruppo donne manager Manageritalia Lombardia - che ha storicamente e culturalmente meno donne manager del terziario, e di Pmi e aziende familiari, che ne hanno meno delle grandi aziende e delle multinazionali estere».

Ciò è confermato anche dai dati della Camera di commercio di Bergamo, che vede una forte presenza delle donne imprenditrici bergamasche nei settori più tradizionalmente «femminili»: attività di servizi per la persona (69,2%), confezione di abbigliamento (49,6%) e assistenza sociale (49%).

Un cambio di mentalità e più servizi che supportino il lavoro femminile, sempre gravato anche dagli oneri di cura alla famiglia, sono indispensabili per ridurre il gap attuale. Oppure una crisi economica. Infatti, dal 2008 a oggi, le donne hanno aumentato, seppur di poco, il tasso di occupazione rispetto ai manager maschi che sono stati più penalizzati dalla crisi.

«Anche a Bergamo – prosegue Quarta – sono le donne che trascinano: sono cresciute del 14% negli ultimi dieci anni, a fronte del calo del 13% degli uomini, e sono aumentate del 3,8% anche nell’ultimo anno, determinando da sole l’aumento dello 0,4% dei dirigenti bergamaschi. Insomma, le donne premono con la loro istruzione e competenza e le aziende stanno capendo che la diversità è oggi richiesta dal mercato e paga eccome».

Ma paga poco le donne. Infatti, il divario salariale di genere calcolato da Eurostat indica che le lavoratrici italiane percepiscono in media il 44% meno dei colleghi maschi. «Qualcosa si muove, ma c’è ancora un abisso da colmare - ammette Luisa Quarta -. Serve anche qui, e soprattutto qui, valutare e retribuire il merito, indipendentemente da ogni orario e altro condizionamento di tempo e luogo. Questa è l’unica e vera soluzione per mettere tutti d’accordo e avere ricadute positive per l’intera collettività e per lo sviluppo del Paese».

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