Aids, esulta l’Occidente
ma in Africa è una strage

Oltre mille morti al giorno. Ma la cifra della vergogna non ci graffia l’anima. Siamo contenti dei «nostri» risultati, dei soldi spesi per le «nostre» campagne di informazione, per le «nostre» cure e per i «nostri» farmaci. Nella giornata mondiale contro l’Aids, che si celebra oggi e compie 30 anni, la riflessione inciampa sulla statistica dell’infamia. Insieme al Global compact abbiamo spazzato via qualsiasi pudore verso chi sta molto molto peggio di noi. Noi esultiamo per i risultati della prevenzione verso la pandemia. Abbiamo contenuto il virus, se non addirittura lo abbiamo sconfitto, segnali più che incoraggianti, consolano gli esperti. Ma la misura del «nostro» disonore è in un numero che dovrebbe fare orrore e invece non muove nemmeno un ciglio. Nell’Africa sub sahariana l’anno scorso sono morte di Aids 380 mila persone e due mila ogni giorno scoprono di essere infettate. Per noi del mondo ricco l’Aids è una malattia quasi scomparsa e siamo felici anche se resta una preoccupazione residua per i comportamenti a rischio di alcuni dei nostri giovani.

Ma l’Aids non è una malattia del passato. È diventata una malattia dei poveri. Così anche un documento innocuo come il Global Compat va respinto, per evitare che resti come monito in bella vista sulla scrivania di qualche ministro. Nel testo oltre alle raccomandazioni sui migranti, si legge che 400 milioni di persone non hanno accesso a servizi di prevenzione di malattie sessualmente trasmesse.

Una buona parte muore nell’indifferenza più assoluta, numeri, a cui destinare al più uno sbuffo di insofferenza. Non possiamo curare tutta l’Africa! Oggi bastano 200 euro l’anno per assicurare cure complete ad un paziente affetto da Hiv e 360 euro per curare una mamma e il suo bambino durante il primo anno di vita. L’Africa muore di Aids e della filiera di drammi che si porta dietro. Muoiono i genitori e schiere di orfani ingolfano le strade. Muoiono gli insegnanti e sistemi scolastici già precari finiscono al collasso. I malati costano agli Stati non per le cure impossibili ma per la diminuzione della capacità lavorativa degli adulti e l’elevato numero di orfani. Invece se i malati riuscissero a curarsi dopo appena sei mesi di terapia aumenta del 30 per cento la loro capacità di lavoro. Ieri la Comunità di Sant’Egidio, unica e solitaria, ha denunciato il silenzio sui numeri della «nostra» vergogna. Certo, servono soldi. Per curare l’Africa occorrono 29 miliardi di dollari. Sembra una cifra pazzesca, in realtà è meno di un quinto di quanto solo gli Stati Uniti hanno speso per l’inutile guerra al terrorismo in Afghanistan e in Iraq.

Contrastare l’Aids in Africa si può. Lo dimostra il programma «Dream» di Sant’Egidio, che offre gratis terapie a mezzo milione di pazienti. Lo dimostra il Cuamm - Medici per l’Africa con il progetto di cura e prevenzione per le donne e i bambini. Nel mondo il 30 per cento dei centri di cura per l’Aids è gestito dalle comunità cattoliche e la Chiesa è l’unica istituzione che finora ha avviato un grande investimento per la cura della pandemia impegnando milioni di dollari in cure e in educazione alla salute e all’igiene, perché non basta distribuire pacchi di preservativi per mettersi a posto la coscienza. Accanto c’è l’impegno per la ricerca dove in prima fila c’è l’ospedale del Papa il «Bambino Gesù» che da cinque anni sperimenta un vaccino terapeutico, una strategia che aiuta il sistema immunitario a reagire al virus, visto che per ora un vaccino profilattico tradizionale non c’è. La seconda sperimentazione in Italia, Sudafrica e Thailandia parte tra un mese con finanziamenti americani.

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