Alle urne in ottobre
Quesiti aperti

Con la presentazione da parte della Lega della mozione parlamentare di sfiducia nei confronti del governo Conte, la cosiddetta «parlamentarizzazione» della crisi viene formalmente avviata. La speranza di Salvini era che, una volta ricevuto lo sfratto, Giuseppe Conte si presentasse già dimissionario al capo dello Stato e che la procedura di scioglimento delle Camere avvenisse in modo fulmineo, addirittura entro Ferragosto. Non sarà così, e questo sicuramente mette i leghisti sul chi va là: quando una crisi di governo entra in Parlamento è sicuro solo il primo atto mentre l’epilogo è tutto da scrivere.

Non sarà un caso che si stiano moltiplicando i sospetti di possibili «inciuci» – seccamente smentiti dagli interessati ovviamente – tra i Cinque Stelle e il Pd in funzione «anti-destra». Segno che la possibilità che le cose evolvano man mano, c’è. Anche per una ragione banale, e cioè che una cosa sono i sondaggi, una cosa i numeri sul campo. In questo Parlamento, eletto l’anno scorso, e non in quello che verrà, la forza preponderante è dei Cinque Stelle, che sono il partito di maggioranza relativa. Basterebbe un’intesa tra Di Maio e Zingaretti per rendere tutto più complicato. Magari non ci sarà – se non altro perché i renziani si opporrebbero a costo di uscire dal Pd – ma intanto la sola possibilità contribuisce ad avvelenare ancor di più l’aria. Se ieri Di Maio è arrivato a dare del «giullare» a Salvini perché avanzava appunto il sospetto di inciuci in corso, vuol dire che queste ipotesi corrono e provocano reazioni e risentimenti.

Lunedì la presidente del Senato Casellati ha convocato la conferenza dei capigruppo per decidere il timing della crisi, e lì per esempio si comincerà a vedere quanto potrà essere appagata la richiesta di Salvini di «fare subito»: complice il Ferragosto e il Parlamento chiuso per ferie, ci si potrebbe prendere una pausa di riflessione in più. Per esempio potrebbe emergere l’idea di un governo istituzionale che abbia il solo compito di portare gli italiani alle urne presumibilmente alla fine di ottobre e che gestisca la prima fase della manovra di Bilancio 2020 dal momento che obbligatoriamente entro settembre va approvata la Nota di variazione di bilancio, che entro il 15 ottobre il testo va presentato a Bruxelles e che entro il 20 dovrà essere trasmesso alle Camere per essere approvato entro il 31 dicembre.

La campagna elettorale si accavallerebbe con queste scadenze e il governo in uscita difficilmente potrebbe comporre le proprie divergenze su un provvedimento tanto impegnativo come il Bilancio. Del resto, bisogna fare l’impossibile sia per evitare l’esercizio provvisorio di Bilancio, che sarebbe un disastro per l’economia, ma anche che scattino le clausole di garanzia con l’aumento dell’Iva e si riaccenda la minaccia della procedura di infrazione da parte della Commissione, tutte variabili che già ieri hanno infuocato lo spread e depresso la Borsa. Servirebbe una gestione, se non neutrale, almeno «istituzionale», fatalmente sorvegliata dal Quirinale.

C’è poi una considerazione fatta dal politologo Giovanni Orsina che potrebbe rivelare le vere intenzioni di Mattarella: le elezioni, osserva il professore, devono essere gestite con la massima imparzialità dal ministro dell’Interno, che in questo caso è Salvini, e sarebbe corretto lasciare a lui, il leader che ha provocato lo scioglimento del Parlamento e ha chiesto agli italiani «pieni poteri», la leva del Viminale? Non servirebbe anche qui una gestione che garantisca tutti? Insomma, che si vada a votare è indubbio, e verosimilmente accadrà in autunno, dal momento che l’unica maggioranza possibile in questa legislatura, quella giallo-verde, è andata in pezzi dopo un anno di convivenza tribolatissima. Ma su quel che accadrà da domani fino ad ottobre tutti gli interrogativi restano aperti, e non sono questioni di piccolo conto.

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