Alleanza salvata
Governo più forte

Il voto on line dei militanti grillini sul «caso Diciotti» si era caricato di significati politici che investivano la natura dell’alleanza di governo (o del «Contratto») e la stessa tenuta dell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte. Ma la prevalenza del no all’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini ha consentito all’una e all’altra di schivare uno scoglio molto insidioso. Perché di fatto la consultazione sulla piattaforma Rousseau (messa abbastanza in crisi dall’afflusso) era un referendum pro o contro Matteo Salvini. E la base grillina ha votato avendo in mente il giudizio da dare sul socio di Di Maio che sembra essere diventato il vero capo-azienda, insomma il vero leader del governo giallo-verde.

Non solo: il giudizio da dare su un capo partito che solo nove mesi fa contava la metà dei voti del M5S e che oggi ne ha il doppio, come dicono i sondaggi e come stanno dimostrando le elezioni parziali. I militanti grillini sanno che Salvini ha ottenuto un così strepitoso successo politico ed elettorale grazie soprattutto, anche se non solo, alla politica migratoria che lui ha imposto all’alleato. Una politica migratoria che moltissimi pentastellati – quelli che provengono dalla sinistra, che sono stati delusi dal Pd ma anche da Rifondazione comunista – considerano inumana e ingiusta e ragionano come il presidente della Camera Fico secondo il quale «i porti devono rimanere aperti».

Invece Salvini (scavalcando il ministro competente Toninelli) i porti li ha chiusi ermeticamente e ha ottenuto da Di Maio e Conte che fossero d’accordo con lui: al punto che di fronte alla richiesta di autorizzazione a procedere avanzata dal Tribunale dei ministri di Catania premier e vicepremier hanno presentato le memorie scritte per rivendicare la loro corresponsabilità politica nella decisione di tenere al largo la nave con i centosettanta migrati (e per questo rischiano di essere a loro volta indagati per sequestro di persona aggravato come il ministro dell’Interno).

Dunque è andato al voto un popolo grillino molto sconcertato, molto impaurito dai risultati elettorali e, ancor di più, dal timore che a Roma chi ormai si è seduto sulle poltrone di velluto rosso sia ormai pronto a cedere sui principi per conservarsi il potere. E tuttavia questo stesso popolo per il 59 per cento ha scelto la strada della realpolitik.

Tanto più significativa questa scelta se si considera che, da quando il M5S esiste, ha sempre teorizzato che l’autorizzazione a procedere nei confronti di un politico va concessa in ogni modo, in qualunque circostanza, a prescindere insomma. Esattamente quello che i tre sindaci grillini Raggi, Appendino e Nogarin avevano dichiarato al «Fatto»: «Chi governa deve farsi giudicare». Ma adesso ha vinto la linea opposta, quella di Di Maio: la magistratura non può sindacare un atto politico.

Che è indubbiamente una posizione di principio che non può essere rigettata a priori ma che nasconde la verità che tutti conoscono: se i grillini avessero detto sì al Tribunale dei ministri avrebbero condannato il governo a esplodere. «Se votano per l’autorizzazione a procedere è come se sfiduciassero il governo di cui fanno parte» aveva avvertito il sottosegretario Giorgetti che di Salvini è il braccio destro.

Dalla prova dunque il governo esce rafforzato e Di Maio consolida la sua leadership secondo le procedure di un voto on line che comunque ha suscitato non pochi dubbi e perplessità.

© RIPRODUZIONE RISERVATA