All’Europa serve
solo il tagliando

L’Ue è nata dalla geniale intuizione di alcuni grandi politici che per evitare nuovi conflitti hanno creato un sistema di regolazione degli scambi economici, un sistema che oggi si trova necessariamente ad affrontare una discontinuità. Il prossimo sarà un voto storico: se i partiti sovranisti dovessero conquistare la Commissione, cambierebbe la storia dell’Unione. Ma la posta in gioco è ancora più alta perché è in discussione un intero sistema di valori.

Il filosofo bresciano Emanuele Severino in un vecchio saggio cerca di rispondere alla domanda che cos’è l’Europa, osservando l’esistenza di grandi forze che spingono verso l’unificazione economico-politica ma forse ancora più grandi ne ostacolano la realizzazione. Come terza super potenza l’Europa complica il gioco mondiale. L’intensità dei contrasti economici, politici, religiosi, ideologici-europei, non ha alcun riscontro. L’unificazione di tali parti è sempre la maschera di un conflitto e non è casuale la radice europea delle due guerre mondiali. Giuliano Amato, nella sua prolusione all’Università della Sapienza, ha spiegato come l’Europa era cresciuta nel corso dei secoli, dal Medio Evo fino al primo novecento, a nutrirla non era stata la politica ma tanti fili della cultura europea; da quelli inizialmente estesi dai monaci e dai professori che, di convento in convento, da università a università, avevano diffuso valori etico-religiosi e principi giuridici comuni.

Quando la vittoria «bianca» del 1948 si è andata decantando nel tempo risultarono più chiare le vere ragioni di quel risultato. Ci si convinse che De Gasperi vinse perché fu l’unico a parlare di Europa che a quei tempi aveva un qualcosa di rivoluzionario mentre oggi i sovranismi cercano di opacizzare quella parola. Federico Chabod disegnava il principio centrale nell’identificazione dell’Europa intorno ad un sistema fatto di «coscienza» e di «pensiero»; a una certa forma di «civiltà» che non si fissava in una geografia immobile ma si definiva «come individualità storica e morale». Questa Europa politica, culturale e morale che noi abbiamo sentito distinta dalle altre parti del globo, per certe determinate caratteristiche del modo di pensare e agire.

L’Europa non può suicidarsi ma andrebbe dichiarata patrimonio dell’umanità. Il nostro più illustre e più impegnato europeista, Alterio Spinelli, ha scritto che «l’Europa era stata un sogno antico» ma «l’europeismo si distingue dal sogno antico perché non è l’aspirazione a un ordine nuovo da attendere in un futuro imprecisabile, ma è il proposito di promuovere un’azione politica attuale per realizzare l’unità a breve scadenza, e per opera della generazione stessa che ha visto e sofferto la crisi dell’ordine politico nazionale fondandosi solo sul libero consenso di nazioni libere». Non è poi così vero che l’Europa sia così impopolare. La si critica ma se ne teme l’uscita. L’Europa ha bisogno di un «tagliando» perché non ha capito le paure del tempo che ci è dato di vivere. L’Europa ha difficoltà ad avere in comune ciò che caratterizza un’entità politica come politiche fiscali, relazioni internazionali, attività giudiziarie, sociali e di sicurezza.

La Brexit è solo la versione inglese insulare dell’implosione del mondo attuale sotto la paura e l’avidità. Certo populismo ci ricorda quello del 1914 che porta all’autodistruzione di un Europa stabile e in pace da decenni e nel 1939 lo stesso nazionalismo produce la stessa tragedia. Preoccupa questa Brexit che ripristina i confini tra le due Irlande e proietta un cupo destino a Londra, la città più moderna e internazionale d’Europa come nel 1992 la multietnica cosmopolita Sarajevo, distrutta dalle milizie serbe scese dalla montagna.

Non è praticabile continuare con una guida diversificata ma con sei teste: una presiede il Consiglio dell’Unione e cambia ogni sei mesi, la seconda dirige la Commissione, la terza il Consiglio europeo, la quarta il Parlamento europeo, la quinta la Banca centrale, la sesta l’Eurogruppo. Dovevamo dotarci di maggiore identità sulla moneta europea; invece di disegnare l’effige dei suoi geni, Dante, Goethe, Mozart e Picasso si sono preferiti ponti, archi e finestre e misurarsi con gli squilibri strutturali dell’unificazione politica e monetaria.

Ai tempi della guerra fredda Milton Kundera scrisse che il vero europeo ha nostalgia dell’Europa. Si è andati evidenziando che il progetto di un’Europa unita è visto spesso dalla gente come una realizzazione fredda, antipatica, ostile e addirittura reversibile. Questo sarebbe una catastrofe. Alle elezioni europee di domenica può succedere qualunque cosa ma anche dopo, l’Unione Europea continuerà ad essere l’unica utopia politica ragionevole che come europei abbiamo inventato.

Un nuovo europeismo sta prendendo corpo; diamogli il tempo di assumere le redini non scambiando la speranza con l’illusione. Ritrovare il tracciato dai suoi progenitori per non svegliarci solo al momento dello scontro per aver viaggiato come sonnambuli in un vagone-letto come ci ricorda Robert Musil quando parla dei «borghesi» che si erano abituati, un secolo fa, a lasciar fare. C’è bisogno di più Europa e più politica.

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