Apriamo la porta sulle nostre montagne

Sulla Costa del Palio, in Valle Imagna, c’è una porta in legno a due ante che sembra stata paracadutata dallo spazio. Si apre e si chiude sull’infinito, in mezzo all’erba schiacciata dal vento. La si vede da lontano, sospesa tra la terra e il cielo sulla linea dello spartiacque, ma solo a pochi metri di distanza si capisce che cosa è. Ed è allora che l’oggetto ci conquista e ci turba in tutta la sua enigmatica semplicità. E gli stessi scorci che fino a pochi istanti prima erano solo una bella cornice diventano gli elementi di una storia che si fa interessante.

La porta non è lì per caso, è un progetto artistico di qualche anno fa dell’associazione Sotto Altra Quota, ma a noi ha suggerito una sintesi perfetta per parlare di montagna. In particolare di Orobie, di quel connubio millenario tra uomo e natura che costituisce il suo inestimabile paesaggio culturale. Un equilibrio fragile e allo stesso tempo profondo come le radici di un albero.

La montagna non è mai neutra, ce lo ricorda quella porta piovuta dallo spazio. Visitare le contrade di San Giovanni Bianco o di Ardesio, percorrere i sentieri in quota della Val Sedornia o della Val Sanguigno, fermarsi su un masso e specchiarsi nell’acqua del lago Gelt, significa aprire delle porte, stabilire connessioni con un mondo che sentiamo intimamente nostro e nel quale lasciamo costantemente tracce.

L’inchiesta che iniziamo oggi con l’intervista a Simone Moro prende il via dalla convinzione che il paesaggio culturale è un organismo vivente in continuo mutamento. Lo vediamo, drammaticamente, con la siccità: nevai spariti, laghetti diventati pietraie, fioriture anticipate. Ma i segnali del cambiamento sono anche altri. C’è una nuova leva di amministratori e imprenditori che sta elaborando idee innovative sullo sviluppo del territorio (il ponte tibetano a Dossena è il caso recente e eclatante). E c’è anche una nuova generazione di fruitori della montagna: fuggono dal turismo di massa, cercano buona tavola, emozioni, contatto con la natura, coinvolgimento. Sono sempre più numerosi. E anche loro sono parte di quel paesaggio culturale che chiamiamo Orobie.

Simone Moro, con lo slancio visionario che gli è congeniale, chiede un piano Marshall per la montagna. Da uomo innamorato delle Orobie intravede enormi potenzialità nella loro bellezza e unicità. Ma comprende anche i limiti e le difficoltà di governare il piccolo e il piccolissimo alla periferia dell’impero, sempre ad alto tasso di litigiosità.

Noi ci limiteremo a raccontare delle esperienze e a far dialogare poli opposti per cercare di trovare una sintesi, una traccia di sentiero. Partiremo dai luoghi, raccontando come alcuni di essi, fino a qualche anno fa semisconosciuti, siano diventati punti di attrazione anche da fuori provincia. Parleremo anche delle persone, dei protagonisti del cambiamento, o almeno di chi sta provando a interpretarlo. Dedicheremo un focus a chi vive la montagna per passione, al Cai, alle guide alpine e ai fenomeni dei gruppi social che nel tempo sono diventati sempre più numerosi e autorevoli. Ci occuperemo anche dello sci alpino, ci chiederemo se ha ancora senso progettarlo alle quote più basse e approfondiremo i principali progetti di sviluppo. Ma indagheremo anche tutte le altre proposte di attività all’aria aperta, a partire dall’ebike. Infine, apriremo il dibattito per cercare qualche strumento in più per riuscire a rimanere su quella cresta sottile e scivolosa che divide la voglia di cambiamento dalla salvaguardia dell’identità. Lo faremo anche dai nostri social, proprio per ampliare il più possibile la platea di chi partecipa al dibattito, nella convinzione che la montagna è patrimonio di tutti. Di chi la abita, di chi la frequenta e di chi, semplicemente, la ama.

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