Autorità di controllo
bilance sbilanciate

Le dimissioni di Cantone dall’incarico di presidente dell’Anac sono una pagina nera per il Paese. Non soltanto per le ragioni esplicitate dal dimissionario presidente, il quale con la consueta pacatezza e misura di modi ha confermato le indiscrezioni trapelate da diversi mesi a proposito delle difficoltà che il lavoro suo e dell’intera struttura incontravano quotidianamente. Che il garante della anticor-ruzione sia costretto a gettare la spugna la dice lunga sullo stato di sfacelo nel quale versano le istituzioni pubbliche.

In particolare quelle di regolazione e di garanzia. In Italia non vi è una radicata tradizione al riguardo. Storicamente, le istituzioni amministrative sono state sottoposte al comando politico, ovviamente nella presunzione del rispetto delle leggi e degli spazi di discrezionalità ad esse concesse dall’ordinamento e dalle leggi. Al contrario, l’idea stessa di autorità indipendente si pone su un piano diverso, sia nella potestà ad essa spettante, sia nei rapporti con il potere politico. Di tale larga autonomia ha goduto, fino al 1990, soltanto la Banca d’Italia (che con la riforma bancaria del 1936 assunse i caratteri di indipendenza dall’esecutivo tuttora vigenti).

Le novità si ebbero nel 1990 allorché venne istituita, sul modello statunitense, l’Antitrust. La svolta fu di enorme portata, poiché trasferiva, rafforzandole ampiamente, le competenze di regolazione e controllo dagli uffici ministeriali a un soggetto i cui componenti godevano della massima autonomia, ma rigorosamente tenuti a non ricoprire incarichi che potessero essere in contrasto con il compito da svolgere. Nello stesso anno nacque la Commissione di garanzia sugli scioperi nei servizi pubblici; poi il Garante per il trattamento dei dati personali; poi ancora le autorità di regolazione nei settori dei servizi pubblici; infine quella – fondamentale – sulle telecomunicazioni. Nelle intenzioni si stava costruendo una «rete» di soggetti pubblici ad alta autonomia in grado di dare maggiore incisività e autorevolezza allo Stato «regolatore», in una fase storica nella quale la privatizzazione di alcuni importantissimi servizi faceva arretrare lo Stato «gestore» con le sue tradizionali pesantezze operative. Meno gestione pubblica e maggiore capacità di fornire regole certe e vincolanti alle attività di servizio pubblico, anche se in mano a società di natura privata, sembrava essere la soluzione per una migliore funzionalità del «sistema Paese».

Vent’anni dopo occorre prendere atto che qualcosa non è andato come doveva. Le conclusioni che si possono trarre dal progressivo declino di incisività delle autorità indipendenti sono molto amare. Per definizione tali organismi dovrebbero essere sottratti alle interferenze della politica. Detto in soldoni, dovrebbero essere al riparo dalle maggioranze di governo che, di volta in volta, sono chiamate alla guida del Paese. Ma ancor più dovrebbero sentirsi sostenute nella loro azione dal potere politico (quale che sia il loro colore e orientamento). Ovviamente, esse sono sottoposte ai vincoli della legalità, nonché della legittimità delle pronunce e delle disposizioni emanate, oltre all’eventuale vaglio di costituzionalità. Sotto altro versante i risultati del loro operato sono sottoposti al giudizio dei cittadini. Nei fatti, le ingerenze della politica sembrano farsi di anno in anno più pesanti. Ciò avviene «a monte» attraverso nomine che assumono sovente i caratteri della lottizzazione spartitoria tipica della politica nostrana, sia mediante pressioni indebite e (talvolta) illegittime sulle scelte e l’operato delle autorità indipendenti. Tale andamento, con tutta evidenza, produce due danni gravi: da un lato vanifica la ragione di esistenza stessa di queste autorità; dall’altro, conferma l’incapacità del nostro sistema di tenere separate – nei modi e nei limiti del possibile – le funzioni di regolazione e garanzia dagli indirizzi politici di governo. L’essere di «parte» del governo, condizione del tutto coerente con i principi delle democrazie, dovrebbe trovare nelle istituzioni indipendenti di regolazione un elemento di bilanciamento. Se il meccanismo funziona, bene, altrimenti la bilancia si «sbilancia».

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