Autostrade a rischio
nelle faide politiche

Angela Merkel ha detto ai giornalisti, al termine del vertice italo-tedesco con Giuseppe Conte, che è «curiosa di vedere come andrà a finire il Consiglio dei ministri di oggi», durante il quale il governo discuterà il «caso Autostrade». E non è soltanto una curiosità generica quella della Cancelliera: Aspi, la società autostradale controllata dalla famiglia Benetton, ha tra i suoi azionisti più importanti anche gruppi assicurativi e investitori tedeschi. In realtà, questo «giallo» sembra che stia per volgere al termine.

E, a quel che si capisce fino a questo momento, potremmo dire con una battuta che sta vincendo Toninelli. Ricorderete l’ex ministro grillino dei Trasporti che si trovò a fronteggiare il crollo del Ponte Morandi e che dal primo momento tuonò contro la Società Autostrade e soprattutto contro Benetton, promettendo la revoca immediata dalla concessione.

Forse all’oscuro di quanto la questione potesse essere giuridicamente e finanziariamente complicata, Toninelli fu fatto fuori dal M5S e non rientrò al governo Conte-bis: al suo posto andò la dem Paola De Micheli. Che, a nome del Pd, ha mantenuto una linea di trattativa con la famiglia di azionisti trevigiani, anche in considerazione delle pesanti ricadute di una possibile revoca della concessione. Anche Conte ha traccheggiato per quasi due anni, ma ha spinto sull’acceleratore quando si è posto il problema di chi avrebbe dovuto ricevere la gestione del nuovo Ponte genovese costruito a tempo di record.

Di fronte all’imbarazzante circostanza che il ponte sarebbe stato riconsegnato proprio alla Società Autostrade in quanto ancora concessionaria della rete nazionale, tutto si è mosso a velocità doppia. E Conte ha scelto d’improvviso la linea dura, durissima, in pratica quella di Toninelli: o i Benetton se ne vanno, o revochiamo la concessione e passiamo le autostrade all’Anas. Una linea che non è affatto quella del Pd – che avrebbe voluto una partecipazione dei Benetton in quota minoritaria – ma è appunto quella auspicata da Toninelli sin dall’agosto di due anni fa quando accadde la tragedia. Di fronte all’irrigidimento del presidente del Consiglio, il Pd si è dovuto molto malvolentieri adattare, riconoscendo col segretario Zingaretti che la posizione di palazzo Chigi era condivisibile.

Vedremo oggi cosa farà il Consiglio dei ministri che sulla questione dovrebbe votare. Per il no alla revoca c’è esplicitamente solo Italia Viva di Matteo Renzi che da sempre ha chiesto un compromesso che non esponesse lo Stato a rischi di contenziosi giudiziari con esborso di enormi somme di risarcimento (anche se diminuite per legge, le penali per la revoca sono pur sempre sette miliardi, un quinto del Mes, per dire) e che non mettesse a rischio i posti di lavoro e i risparmi dei piccoli investitori.

Si sa che una parte dei ministri del Pd vuole insistere per continuare la trattativa ma il punto politico è molto semplice: il M5S, che ha tanti problemi, vuole poter sbandierare lo scalpo dei Benetton per dire: «Avevamo promesso che li avremmo puniti, e lo abbiamo fatto» perché «noi non siamo come gli altri» e «non ci inchiniamo di fronte ai poteri forti». Se il Pd si impunta sul no alla revoca finisce per fare la figura di chi sta più dalla parte di un colosso privato che delle vittime del crollo del Ponte, e questo non va bene: il 20 settembre, alle elezioni regionali, in Liguria si vota e Zingaretti non vuole un bagno di sangue. Quanto a Conte è chiaro che sposare la linea dura significa azzerare le tante voci che lo danno in rotta coi grillini e anzi prossima loro vittima sacrificale in vista di un nuovo governo, magari allargato. L’ultima mossa spetta proprio a lui: tutti i politici cercano un successo di immagine di fronte all’opinione pubblica, vedremo in questa ricerca che fine faranno le autostrade italiane.

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