Ballottaggi, il governo
ne uscirà più forte

I ballottaggi di domenica 17 ottobre, manco fossero algoritmi, sono stati programmati seguendo due linee contrapposte: appaiono ridimensionati da tutto quello successo negli ultimi 15 giorni e insieme, proprio per l’effetto di queste varianti, hanno ricevuto un’impronta molto politicizzata. Il voto di oggi chiude una fase tormentata e ne apre un’altra: la corsa per il Quirinale, il luogo delle imboscate. Nel frattempo il governo sta mettendo a punto la legge di bilancio. L’economia è in ripresa: vedremo se è solo un rimbalzo o qualcosa di più, e occhio all’inflazione dietro l’angolo. Il voto a Roma, in mancanza di miglior fantasia, è percepito come la madre di tutte le battaglie e sul piano nazionale darà due indicazioni: la contesa per la leadership a destra, la capacità del Pd di riunire sotto la stessa tenda le tante tribù del centrosinistra. Il rischio maggiore lo corre Giorgia Meloni, già in difficoltà per le ricadute del sabato squadrista, perché il candidato di centrodestra è tutto suo: una battuta d’arresto nella capitale brucerebbe nei termini di sconfitta personale.

S’è rimesso in circolo il bipolarismo destra-sinistra, rimodellando gli equilibri nei rispettivi campi di gioco, sulla base di tre fattori riferiti alle urne nelle 6 grandi città: l’affermazione del Pd, la sconfitta della Lega e dei Cinquestelle, quasi scomparsi al Nord. I dem di Letta hanno ripreso il pallino in un quadro però mutato. Non devono più inseguire i grillini, perché i rapporti di forza sono mutati a loro vantaggio. La coalizione larga ipotizzata dal nuovo segretario sarà così costretta a giocare di sponda anche con il versante centrista: quello dell’inafferrabile Renzi e del battitore libero Calenda, due solisti più che federatori. Il vero deficit politico è a destra: confusione di linguaggi, limiti delle leadership, errori nella scelta dei candidati, inadeguata selezione della classe dirigente, incapacità di superare i propri confini identitari.

Intanto guardiamo meglio i dati del primo tempo di queste amministrative. La Lega in quanto tale, nei 6 Comuni capoluogo, è crollata al 6,8% con voti in uscita verso l’astensione e Fratelli d’Italia. A conferma che destra e sinistra sono due blocchi chiusi e che il pendolarismo dei consensi è dentro le coalizioni di appartenenza, non trasversale: vince chi recupera quote dell’astensione. Il partito di Giorgia Meloni, per quanto al di sotto delle attese, ha raddoppiato in percentuale (12,8%) i voti alle europee del 2019 e quelli alle comunali del 2016. Questo però prima del sabato nero a Roma. Più sfumato il resoconto nei 118 Comuni superiori ai 15 mila abitanti, dove il centrodestra prevale solo al Nord. Una destra in crisi di leadership, disallineata rispetto al senso comune post Covid. Salvini recita due parti scomode. Al governo, dove ha bypassato il suo ministro Giorgetti, non riesce a contare più degli altri partner e viene regolarmente stoppato da Draghi. Si smarca, poi rientra. E all’opposizione, presidiata da Meloni, non risulta «dei nostri» sino in fondo. Fin qui la leader di Fratelli d’Italia aveva goduto di buona stampa, talora in funzione anti Salvini: il suo libro autobiografico un successo editoriale, un’opposizione responsabile, la guida dei Conservatori europei, dignitosa famiglia europea per quanto abbia imbarcato l’estrema destra spagnola di Vox. L’incantesimo s’è rotto con l’assalto di Forza Nuova alla Cgil: un fatto eversivo, non soltanto violento. Meloni non sembra aver retto in modo adeguato, almeno in termini culturali, l’urto dell’impatto sul suo mondo. Per una forza che si candida alla guida del Paese, e quindi con una responsabilità in più, era lecito attendersi uno sforzo intellettuale e una revisione politica per rendersi credibile: un’occasione persa? Da questo rumore di fondo, per il momento il governo potrebbe uscirne rafforzato: Draghi va avanti, il suo cronoprogramma non coincide con il calendario elettorale dei partiti. Una stabilità che si regge tuttavia su un sostanziale equilibrio fra sinistra e destra: replicabile anche da domani? Il parziale messaggio delle amministrative è stato quello di sfebbrare il paziente Italia. Il consenso a un riformismo forza tranquilla, senza velleitarismi, lungo una linea di continuità di chi ha ben governato: 42 sindaci sono stati riconfermati nei 57 Comuni in cui i primi cittadini sono stati scelti al primo turno.

Il Paese chiede meno acuti e molto lavoro dopo anni d’informazione velenosa e trash, in cui non ci si è preoccupati di costruire un discorso pubblico sensato. Frattura visibile nella dissociazione fra la realtà e la sua rappresentazione, dove insieme al senso delle parole s’è smarrita la misura delle cose quotidiane e il peso di quelle che contano. La comunità reale delle famiglie e delle industrie ha tenuto, non dimentichiamolo: di cosa parliamo, quando ci riferiamo ai no vax e dintorni, in un’Italia in cui l’80% dei cittadini è vaccinato, soglia che in Lombardia supera il 90%? È il ritrovato buon senso dell’Italia dei diritti e dei doveri.

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