Brexit, grande caos
Un quadro desolante

Martedì 29 ottobre, per la milionesima volta, i parlamentari inglesi si sono scannati sulla Brexit con annessi e connessi. Ed era interessante notare che ciò avveniva proprio mentre tutti i maggiori partiti potevano intestarsi una qualche vittoria. I conservatori del premier Boris Johnson per aver ottenuto di andare a elezioni anticipate, che affronteranno gridando agli elettori che loro avrebbero voluto realizzare la Brexit mentre gli altri hanno ignorato la volontà del popolo, stabilita con il referendum del giugno 2016. I Liberal-democratici e il Partito nazionale scozzese, fortemente anti-Brexit, per aver sventato il piano di Johnson di salutare comunque l’Europa, con le buone (un accordo con Bruxelles) o con le cattive (senza alcun accordo).

Il Partito laburista perché ha sposato, in questi quattro anni, quasi tutte le posizioni e ora si dice pronto a varare una «Brexit buona» (in sostanza, ce ne andiamo ma continuiamo a commerciare senza vincoli) visto che l’ipotesi di una «Brexit cattiva» è tramontata. Gli unionisti dell’Irlanda del Nord, pro-Brexit, perché l’unica Brexit ancora possibile, ovvero quella concordata da Johnson con le autorità europee, a loro non piaceva.

Ma come sempre in politica, una situazione in cui tutti possono cantare vittoria è una brutta situazione. Nelle stesse ore, infatti, il Consiglio d’Europa allungava fino al 31 gennaio prossimo il termine concesso al Regno Unito perché decida che cosa vuol fare da grande. Ma solo per trovarsi di fronte un quadro piuttosto allucinante, con il Parlamento inglese impegnato a discutere se concedere il diritto di voto anche ai cittadini non inglesi oppure se cambiare l’età di accesso al voto. Un quadro desolante, la ricerca di un trucco dell’ultimo momento.

La conferma che in quattro anni la politica inglese non è stata in grado di elaborare un progetto decente di uscita da quell’Unione Europea in cui il Regno Unito non era mai davvero entrato e da cui, in ogni caso, aveva tratto grandi vantaggi. Adesso si andrà a votare e le presunte vittorie dei partiti si rovesceranno in sconfitte o in grandi difficoltà. Johnson e i conservatori partono avvantaggiati. Potranno scaricare su tutti gli altri partiti le esitazioni di questi mesi e vantarsi, al contrario, di aver raggiunto con la Ue un accordo poi bocciato da un Parlamento sordo e cieco alle richieste del popolo. Ma non potranno nascondere il fatto di non esser riusciti a raggranellare il consenso necessario, avendo per giunta sospeso per un mese intero i lavori del Parlamento.

I Liberal-democratici cercheranno voti su una posizione, restare nella Ue, che non sembra vincente. I nazionalisti scozzesi, pro Europa, sono come sempre nel limbo che separa il desiderio dell’indipendenza dal desiderio di godere la già ampia autonomia ottenuta. Voteranno per restare nella Ue ma li voteranno solo gli scozzesi, che sono già convinti.

Gli unionisti dell’Irlanda del Nord hanno affondato, con il loro dissenso, l’accordo che Johnson aveva raggiunto con la Ue. Ma nessuno vuole la Brexit come loro e la prospettiva è che restino inchiodati alla voglia di una Brexit «perfetta» che è quasi impossibile.

Detto più in breve: a meno di cataclismi elettorali, con uno spostamento di voti oggi impensabile, queste elezioni anticipate rischiano di lasciare le cose come stanno. E di costringerci a vedere gli inglesi discutere se andare o non andare, e nel caso come andare e dove andare e con chi andare, ancora per molto molto tempo.

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