Carabiniere ucciso
I tentacoli della droga

Le foto lo ritraggono spesso sorridente, il volto tondo di un uomo buono. E chi oggi lo ricorda, ha solo parole di profonda stima, dai parenti ai colleghi di lavoro. Vincenzo Di Gennaro, 47 anni, il maresciallo dei carabinieri ucciso sabato a Cagnano Varano (Foggia) da un pregiudicato che alcuni giorni prima era stato sottoposto a una perquisizione per droga (fu trovato in possesso di cocaina) e aveva minacciato di morte i militari, era un servitore dello Stato. Un uomo che faceva bene il suo dovere, sempre pronto a intervenire là dove era chiamato. Fra poco si sarebbe sposato e con la compagna Stefania Gualano avevano già costruito la casa dove vivere dopo le nozze. Per il procuratore di Foggia, Ludovico Vaccaro, l’omicidio non si inserisce in una logica di criminalità organizzata.

Ma questa parte d’Italia, il Gargano, da tempo è luogo di violenza mafiosa. «C’è un collegamento con la situazione dell’area - ha detto ancora il procuratore a proposito del delitto - perché è espressione del livello di aggressività che la criminalità ha raggiunto qui. In questo senso l’episodio non va sottovalutato. Esprime una situazione drammatica sotto il profilo culturale: l’atteggiamento che porta a reagire a dei controlli e a sparare contro lo Stato. Tutto questo esprime un livello di avversione verso lo Stato stesso. In questa mentalità ci vedo il collegamento con la criminalità organizzata». Nella provincia di Foggia si contano più di un omicidio al mese, un incendio al giorno, un’estorsione ogni 48 ore, il caporalato sfrutta i migranti facendoli lavorare nei campi per due euro all’ora. L’80% degli omicidi è irrisolto. Gruppi della malavita foggiana assaltano portavalori in Italia e nel resto d’Europa con bazooka e ruspe.

Parti di spiagge vengono chiuse per consentire lo sbarco protetto di tonnellate di marijuana in arrivo dall’Albania. Ogni luogo ha un suo gruppo mafioso. La risposta dello Stato negli anni non si è fatta attendere: sono stati messi in campo i reparti migliori (la Dia, lo Sco, i Ros e l’Anticrimine) che hanno permesso la cattura o l’uccisione di alcuni boss. Le commissioni prefettizie hanno sciolto i Comuni in odor di mafia ed hanno continuato a farlo dopo minacce e ritorsioni.

C’è un filo che lega le nostre aree di residenza o di frequentazione con quello che accade nel Gargano. Venerdì a Milano in via Cadore, zona semicentrale, è stato gravemente ferito un uomo al volante della sua auto: i colpi sono stati sparati da un sicario in sella ad uno scooter. La vittima era stata in carcere per narcotraffico e spaccio nelle discoteche. E qui va rimarcato un problema che l’opinione pubblica e parte della politica continuano a sottovalutare. Lo spacciatore che vende dosi sotto casa nostra o nel quartiere è segno di un degrado, ma è solo il terminale, a sua volta spesso assuntore di stupefacenti, di un mercato colossale. Nell’ultima relazione annuale al Parlamento sulle tossicodipendenze (2018) si legge: «Sulla base di quanto rivelato nel 2007, circa 4 milioni di italiani hanno utilizzato almeno una sostanza illegale e, di questi, mezzo milione ne fa un uso frequente. Il mercato della droga pesa per lo 0,9% del Pil italiano (quattro volte la crescita stimata della nostra economia quest’anno) e il consumo permette un giro d’affari di 14,4 miliardi di euro, il 40% per la sola cocaina. Milano è tra le capitali d’Europa per l’uso di questa sostanza. C’è poi la piaga del consumo giovanile, soprattutto di sostanze sintetiche.

Ma di questo mercato di morte se ne parla solo quando ci scappa l’omicidio, e a volte nemmeno in questa circostanza. L’arcivescovo di San Giovanni Rotondo, Franco Moscone, ha detto: «Io reagisco con il Vangelo, ma qui sembra di stare in America Latina». Ecco, appunto. È una tragedia.

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