Conflitto in Libia
Europa disarmata

L’Unione europea si trova nuovamente davanti a scelte epocali che potrebbero cambiare la natura stessa dell’organizzazione. Le sfide del XXI secolo impongono infatti decisioni rapide, ferme e lungimiranti. La crisi libica, ad esempio, ha mostrato come la mancanza di una voce sola comunitaria abbia aggravato la situazione. È vero, sono gli Stati nazionali a essere i «maggiori azionisti» dell’Ue e non si può chiedere loro di cedere al centro ulteriori poteri anche in politica estera dopo quelli in campo monetario. Ma qui in ballo, invero, c’è ora qualcosa di tremendamente più importante: si sta mettendo indirettamente in discussione la stessa concezione di Unione europea come la intesero i Padri fondatori – ossia uno spazio di libertà, diritto, democrazia, libero mercato e quant’altro – campione politico ed economico, ma non militare.

Quando si progettò l’Europa unita, il Vecchio continente usciva esausto da secoli di infinite guerre in cui si era sparso un oceano di sangue. Serviva voltare pagina e dire definitivamente addio alle armi. Così, fino ad adesso, la grande scommessa è stata quella di costruire un’organizzazione potenza politica ed economica nel mondo. Ci si illudeva che usando la diplomazia, l’euro ed il mercato unico si sarebbe riusciti ad ottenere risultati migliori che brandendo un fucile. La realtà contemporanea, che abbiamo davanti agli occhi con le immagini televisive provenienti dalla Siria o dalla Libia e con i resoconti sui vertici tra leader, sta, però, dimostrando che l’Unione europea viene ascoltata solo in parte sul palcoscenico internazionale.

Ma non solo: nel vuoto geopolitico lasciato dal riposizionamento degli Stati Uniti (finora il Paese leader dell’Occidente) vi si stanno infilando Stati con interessi diversi da quelli dei Ventisette. Ed il conto finora pagato dall’Unione europea - in alcuni frangenti apparsa su posizioni negoziali assai fragili - è stato salato se si pensa ai miliardi di euro consegnati alla Turchia di Erdogan, per non lasciare partire i circa 3 milioni di profughi siriani verso il Vecchio continente, e se si considera l’ondata migratoria - arrivata dall’Africa – che ha messo in difficoltà i welfare europei.

Adesso siamo arrivati al punto di svolta, come in quel tesissimo 26 luglio 2012, quando il governatore della Banca centrale europea Mario Draghi pronunziò la storica frase «whatever it takes» indicando la difesa dell’euro ad ogni costo davanti alla speculazione finanziaria. Dopo il vertice di Berlino di domenica scorsa sul tavolo dell’alto rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell vi è la proposta sul possibile invio di una missione militare dei Ventisette in Libia. In assenza degli americani non si capisce chi sia in condizione di far rispettare la tregua - voluta dalla comunità internazionale - in un Paese in preda all’anarchia. Paese, è bene ricordarlo, che rimane strategico per gli approvvigionamenti energetici all’Ue e di transito per i disperati verso il nord del mondo.

Alla tragica pagina libica va poi aggiunta quella dei rapporti in seno alla Nato con gli Stati Uniti di Trump che – a differenza dei suoi predecessori – ha sollevato interrogativi sull’alleanza tra le due sponde dell’Atlantico. Alleanza, si badi bene, che ha garantito forse il più lungo periodo di pace dell’ultimo millennio in Europa. Farsi rispettare su certi scenari implica oggi, in questo confuso mondo multipolare, avere anche altri tipi di capacità dissuasiva. Valutare i pro e i contro sarà fondamentale per non mettere a rischio la stessa natura dell’Unione.

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