Conte, i nodi al pettine
nell’ingorgo d’autunno

L’agosto del mio tormento. Per ulteriori informazioni ci si può rivolgere a Salvini, a un anno dal Papeete che ha segnato il suicidio politico dell’ex uomo forte del governo gialloverde, ma anche per l’esecutivo giallorosso del Conte II sono mesi di passione nell’Italia balneare. Poteva comunque andare peggio dinanzi alla prospettiva dei «pieni poteri» invocati dal leader leghista da utilizzare per portare l’Italia fuori dall’Europa, tanto più che siamo entrati nella pandemia senza ancora aver assorbito del tutto gli effetti recessivi della crisi economica degli anni scorsi. Il Paese ha vissuto (e vive) la stagione più drammatica della storia repubblicana in modo altalenante, ma è riuscito a governare la fase più critica dell’emergenza sanitaria, tenendo insieme una società dai mille campanili e ritornando nel club europeo sotto il paracadute della cancelliera Merkel.

Sul versante salute non è finita, come sta verificando lo stesso Veneto di Zaia che, pur affermatosi come il primo della classe, ora è costretto a rincorrere i nuovi focolai epidemici.

Forte della propria debolezza, il governo è chiamato ad uno scatto non ancora definito, a darsi un profilo che superi l’esclusiva necessità di arginare il salvinismo e dunque la ragione sociale di una nascita rocambolesca. Il quadro politico si sta modificando e potrà esserlo ulteriormente sulla scorta dei dossier sulla ricostruzione della settimana di marzo che ha portato al lockdown e che ha cambiato il Paese. Salvini non è più il dominus incontrastato della destra, perché deve vedersela con la competizione arrembante di Giorgia Meloni. Nella Lega si avverte qualche mal di pancia dal timbro padano, o comunque nordista. Fin qui, però, la mobilità e la redistribuzione dei consensi sono tutte interne al centrodestra, coinvolgendo semmai l’area dell’astensione e non il centrosinistra. Nella maggioranza questo anno vissuto pericolosamente ha rafforzato più Conte che il governo. Il premier per caso, descritto come il semplice portavoce dei due vice premier dell’esecutivo giallo verde (Salvini e Di Maio), oggi s’è ritagliato uno spazio personalizzato, qualcosa di più del «primo fra pari». Dall’impiego dei decreti del presidente del Consiglio (strumenti normativi anomali e borderline) alle iniziative decise in autonomia dai partiti (Stati generali), s’è mosso nei termini di soggetto politico a sé, sfruttando le divisioni fra i soci di maggioranza, incassando poi con il Recovery Fund un inatteso Bengodi per l’Italia e una legittimazione personale.

Nel cogliere il tramonto grillino e il disagio del Pd, scavalca i partner a destra (immigrazione) e a sinistra (proroga dello stop dei licenziamenti). I rapporti fra l’uomo che era il «punto di riferimento dei progressisti» e il Pd sono rimessi in discussione, perché è Conte il beneficiario dell’azione di governo e non i dem che, pur più forti dei 5 Stelle, vedono un esecutivo evolvere non secondo le loro piene aspettative. Fin qui Conte il Temporeggiatore, incline a comprare tempo, ha usato il bastone e la carota, tuttavia la tecnica dilatoria trova un limite nell’ingorgo autunnale quando tutti i nodi verranno al pettine: questione sociale ed economica, ripresa scolastica, elezioni in sei Regioni, referendum sul taglio dei parlamentari. Tanti cantieri aperti, forse troppi, all’incrocio critico dei risvolti sanitari, dei contrasti politici, dei rapporti con il mondo produttivo. Il primo focus riguarda l’utilizzo dei 209 miliardi del Recovery Fund, che dovrebbero arrivare l’anno prossimo. All’indomani del varo del Decreto Agosto, si precisa la politica economica: un passo alla volta, manutenzione straordinaria, tamponi sociali per evitare un autunno caldo e fare in modo che le difficoltà del sistema produttivo non si scarichino senza filtri sull’occupazione. Sostenere una fragile stabilità del lavoro fino almeno al primo arrivo delle risorse di Bruxelles. Il governo può contare su un’attenzione critica dei sindacati, ma deve misurarsi con l’esplicita opposizione dell’establishment economico (specie al Nord) che non vede un progetto di sviluppo su basi solide e che, in alcune sue componenti, parla di cultura anti industriale. La quadratura del cerchio, il punto d’equilibrio fra difesa dei redditi e ragioni del mercato non è stato ancora trovato.

L’altra questione scivolosa, e qui il governo rischia grosso, è la ripresa regolare della scuola a settembre dopo una gestione, in questi mesi, che ha impresso l’immagine ad alta definizione dell’approssimazione culturale e politica dei grillini. Nessuno ha ancora capito come avverrà il ritorno in aula sul piano organizzativo e sul fronte dei rischi per la salute. Una mina vagante, probabilmente sottovalutata, con un impatto diretto e immediato sulle paure delle famiglie: un appuntamento ad alto rischio anche politico, considerate le premesse negative e, quanto ai riflessi devastanti, pari ai timori di una deriva sociale. Il tempo, con gli infiniti esami di settembre, potrebbe non fare più sconti, pure a Conte il Temporeggiatore.

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