Cosa ancora non sappiamo dopo due anni di pandemia

In questi giorni, due anni fa, in Cina il coronavirus era già un’emergenza. Il resto del mondo osservava preoccupato, chiudeva i ponti con Pechino e al tempo stesso iniziava a fare i conti con il virus in casa propria. Anche in Italia emergevano i primi due casi, a Roma: era il 30 gennaio 2020 e il giorno successivo venne dichiarato lo stato d’emergenza. La preoccupazione c’era, eppure tutto sommato restava ancora confinata tra le cose possibili ma remote, lontane. E noi eravamo lontani, molto lontani dall’immaginare ciò che sarebbe accaduto di lì a poco. È vero, avevamo intravisto un nuovo virus a Wuhan, nella provincia di Hubei, e con un certo stupore avevamo guardato i cinesi costruire un ospedale in quindici giorni.

Ma noi stavamo pensando ad altro e leggere sulla stampa il nome «Covid» all’inizio del 2020, due anni fa, sembrava strano: la maggior parte di noi si è trovata a respingere le preoccupazioni. C’era poi quel «19» aggiunto al nome «Covid»: indicava l’anno della scoperta, quindi, ci si diceva inconsciamente, forse era già passato. I primi decenni del XXI secolo erano già stati segnati da minacce pesanti per la salute: dalla Sars a Ebola, dal colera alla febbre gialla, dalla meningite all’influenza suina fino al morbillo. La maggior parte di queste emergenze erano state contenute e non si erano diffuse in modo significativo. Ma il Covid-19 sarebbe stato diverso. In Europa, all’inizio del 2020, i casi sono raddoppiati ogni sette giorni. E così sarebbe successo nel resto del mondo.

Il 20 gennaio di due anni fa venne confermato il primo caso di Covid-19 negli Stati Uniti, nello Stato di Washington. Il secondo caso negli Usa è stato confermato giorni dopo. Una donna che aveva viaggiato a Wuhan, aveva preso il virus mentre si trovava là prima di tornare nell’area di Chicago. Suo marito aveva contratto il virus da lei, ed entrambi furono curati al «St. Alexius Medical Center» di Hoffman Estates, dove entrambi recuperarono completamente. Nel giro di poche settimane, il Covid-19 si è diffuso negli Stati Uniti nello stesso modo in cui si è diffuso in Europa. Di pari passo, e con la stessa velocità, si è diffusa una divisione di opinioni sul virus. Il Covid-19 è stato politicizzato in un modo senza precedenti. I conservatori generalmente credevano che il virus fosse un inconveniente, forse un po’ peggio dei ceppi influenzali annuali. I liberali lo consideravano devastante, e mentre i politici tentavano di rallentare e contenere la malattia con misure viste come un uso irresponsabile del potere, i numeri aumentavano.

Il numero dei decessi è cresciuto, superando via via le pietre miliari della storia della morbilità. Varianti del virus originale si sono diffuse in tutto il mondo.

A gennaio 2022, due anni dopo, sull’onda proprio dell’ultima di queste varianti, la Omicron, ogni giorno sono stati segnalati numeri record di casi. Le unità di terapia intensiva si sono di nuovo riempite. I decessi, fortunatamente, non hanno raggiunto i livelli di due anni fa, ma l’impatto della malattia si è rifatto sentire. Ancora una volta, l’organizzazione del lavoro in ospedale ne ha risentito in modo massiccio, mentre l’elevato numero di malati ha lasciato le imprese a corto di lavoratori. Alcune hanno «tagliato» i tempi di lavoro per sopperire alle numerose assenze, altre sono state costrette a chiudere del tutto, mentre le falsità e le idee sbagliate continuano a prosperare. La mancanza di fiducia di una parte dell’opinione pubblica nei confronti degli scienziati, dei medici e dei mezzi di informazione è andata via via aumentando. In questo, non ha aiutato la confusione creata da consigli e direttive talvolta contrastanti tra loro diffusi arrivati dai «Centers for disease control», i Centri per il controllo delle malattie di mezzo mondo. In alcuni casi, i messaggi trasmessi sono stati un disastro: scoordinati e contraddittori. Le discussioni sul Covid-19 si sono trasformate in dibattiti durante i quali nessuno ascoltava gli altri. Anche l’arrivo del vaccino, a lungo ritenuto il potenziale uccisore del virus, è stato accolto dall’incredulità e da ridicole teorie del complotto.

Ad oggi, il numero dei decessi causati da questa epidemia rimane una stima, ma in ogni caso il Covid-19 è tra i principali killer nella storia delle malattie, e segue solo tre epidemie: peste bubbonica, Hiv/Aids e Influenza spagnola. Un inciso, fra l’altro, su quest’ultima: il suo nome deriva dal fatto che, mentre quel virus mortale stava lavorando attraverso l’Europa durante la prima guerra mondiale, i media britannici, francesi e statunitensi furono scoraggiati dal riferirne. La stampa spagnola, invece, fu la più attiva in questo senso, dando la falsa impressione, all’epoca, che la malattia avesse avuto origine proprio dalla Spagna.

Tornando ai nostri tempi, la pandemia di coronavirus finirà. Tutte lo fanno. Ma ci saranno ancora contagi e morti prima che questa faccia il suo corso. Due anni dopo, restano le domande: che tipo di società avremo quando la pandemia sarà finita? Quanto continueremo a discuterne? Quali saranno i risultati ovvi e i risultati nascosti di ciò che abbiamo passato? E soprattutto, quando finirà? Non ne abbiamo idea ma i nuovi segnali degli ultimi giorni fanno ben sperare. Dai, riprendiamoci la nostra vita.

*Direttore del Dipartimento di emergenza e urgenza e dell’Area critica dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo

© RIPRODUZIONE RISERVATA