Costruire un’Europa
più forte e più equa

Dopo il veto posto dal presidente Mattarella alla sua nomina a ministro dell’Economia, Paolo Savona divenuto ministro per le Politiche comunitarie ha evitato qualsiasi polemica con il Colle, consapevole che ogni sua dichiarazione avrebbe potuto avere ripercussioni negative sui mercati. Il presidente era convinto che Savona, nonostante avesse lavorato al fianco di Ciampi e Carli ai tempi dell’ingresso dell’Italia nell’euro, si fosse negli ultimi tempi convinto dell’inopportunità di quella scelta.

Lo confermano alcune sue affermazioni: «L’euro è una gabbia tedesca. La Germania ha sostituito la volontà di potenza militare con quella economica… L’euro ha portato più svantaggi che vantaggi a tutto il continente… Se si sapesse che l’Italia ha un piano B per uscire dall’euro, la Germania e gli altri Paesi si troverebbero costretti a dover valutare gli effetti che essi pagherebbero in termini di valore del cambio e di chiusura del mercato italiano ai loro prodotti, e ci tratterebbero con minore aggressività».

Assunte responsabilità di governo, Savona ha rilasciato dichiarazioni rassicuranti: «Non ho mai chiesto di uscire dall’Euro, ma di essere preparati a farlo se, per qualsiasi ragione, fossimo costretti volenti o nolenti». È apparso, peraltro, impegnato a riaffermare le sue idee non per contrastare il progetto europeo, ma per alimentare una spinta per il cambiamento e per il rilancio dell’Europa. Se ne è avuta conferma nel suo intervento in Senato quando, replicando a nome del governo dopo le comunicazioni del premier Conte in occasione della partecipazione al primo Consiglio Ue, ha affermato: «Non operiamo quindi per la cronaca, questa può esserci anche avversa, ma sarà costretta a riflettere sulle iniziative che stiamo intraprendendo per riconciliare l’architettura istituzionale dell’Unione europea con la politica che riteniamo necessaria per un’Europa più forte e più equa».

Tali iniziative sono confermate dall’invio di un documento all’Ue, dal titolo «per una politica europea», nel quale si propone un’Europa più forte e più equa, in cui si passi dal concetto di «governance» a quello di «bene comune». Come funzionali al perseguimento di questo obiettivo sono indicati: l’assunzione da parte della Bce del ruolo di banca centrale a pieno titolo, con la possibilità di agire quale «prestatore di ultima istanza» per scongiurare crisi finanziarie e di manovrare la leva del cambio per sostenere la crescita; l’uscita dai vincoli finanziari del bilancio europeo e la fissazione, fornendo garanzie alla Bce, di un piano a lunghissima scadenza per il rientro del rapporto deficit/Pil fino al raggiungimento del parametro del 60% debito/Pil. Savona sostiene anche la necessità di ricorrere a meccanismi capaci di accelerare lo sviluppo attraverso una decisa spinta alla domanda. In merito propone di permettere agli Stati d’investire soprattutto in infrastrutture e costruzioni, spendendo una cifra pari a quella del surplus commerciale di ogni Paese, che per l’Italia è di circa 50 miliardi di euro. Queste idee - unite a quelle espresse in alcune riunioni dal premier ungherese Orban, favorevole alla costituzione di un esercito europeo - creerebbero le condizioni per accelerare il passaggio da una costruzione economica ad una politica dell’Europa. C’è chi pensa che questa possa essere una strategia condivisa da Paesi sovranisti per mettere definitivamente in crisi l’Europa. Sta di fatto che queste posizioni sarebbero certamente condivise dai padri fondatori dell’Europa. Saranno, invece, certamente contrastate dalla Germania, che gode della sua attuale posizione privilegiata, e da molti burocrati europei che traggono vantaggi dallo «statu quo». Queste ultime posizioni potrebbero uscire indebolite dalle elezioni europee della prossima primavera, ma solo se saranno contrastate da un fronte elettorale molto ampio espresso nei vari Paesi. Allo stato, tutto ciò appare assai improbabile.

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