Crisi Apple, il gigante
di un solo prodotto

Steve Jobs è morto (sette anni fa) e anche l’iPhone si sente poco bene. Proprio lui, il simbolo della nostra epoca, il supremo oggetto del desiderio di miliardi di persone, il gioiello tecnologico che ha conquistato il mondo globalizzato aiutandolo a interconnettersi, il marchio della mela più emblematico della digital economy. Eppure è proprio così. La multinazionale della Mela fondata dal genio di origine siriana, fino a ieri la più ricca società al mondo di Wall Street, tracolla e brucia miliardi di dollari. Nubi fosche si addensano sul suo futuro, anche se resta un colosso. La crisi Apple arriva come un temporale estivo, come capita sempre più spesso nella turbofinanza dell’era globale, tanto potente in termini di volumi quanto volatile dal punto di vista dei tempi. In un solo giorno ha bruciato a Wall Street oltre 70 miliardi di dollari, con un tonfo del 10%.

Dai massimi toccati in Borsa in estate (quando un’azione valeva la bellezza di 200 dollari) ha mandato in fumo l’impressionante cifra di 320 miliardi. Il quartier generale dell’azienda fondata nel 1976 a Cupertino, ha annunciato per la prima volta in 16 anni che i suoi ricavi scenderanno: erano attesi 90 miliardi di dollari nel periodo settembre-dicembre 2018 e invece saranno «solo» (si fa per dire) 84 miliardi. Ora le azioni sono cadute sotto i 150 dollari, e Apple è scesa al quarto posto nella classifica di Wall Street (con la capitalizzazione che si è «ristretta» a 750 miliardi di dollari).

Ma dietro la crisi di Apple c’è anche un aspetto geopolitico: la colpa dei risultati deludenti è stata data al calo di vendite di iPhone in Cina. Proprio così, la Cina sta addentando la Grande mela a morsi. Forse per ritorsione contro la politica dei dazi del presidente americano sovranista Donald Trump. Il calo di vendite in Cina, più che a una recessione imminente, può essere letto come una forma di ritorsione di Pechino contro Washington. Una bella lezione per i sovranisti, che ci avverte che quando si adottano i dazi le ritorsioni sono sempre in agguato e arrivano da dove meno te l’aspetti.

Inoltre i telefonini cinesi stanno guadagnando fette di mercato a scapito di sua maestà Apple. Perché i vari smartphone Huawei, Htc e simili sono a volte uguali o migliori dell’iPhone (che ora dà anche la possibilità di cambiare la batteria). Il gigante della Silicon Valley soffre sempre più la concorrenza perché, essendo un prodotto maturo, ha smesso di innovare. E i nuovi prodotti? L’Apple Watch è un gioiellino fantastico ma finora non è mai decollato come si sperava (anche perché funziona in gran parte solo se abbinato a un iPhone da tenere in tasca, solo poche funzioni vengono attivate senza di esso). Il 2019 avrebbe dovuto essere l’anno del lancio della futuristica Apple Car, la super-automobile tutta connessa. Ma dev’essere parcheggiata da qualche parte, perché non se ne vede traccia da mesi.

Su Apple pesa anche il mancato boom degli iPad, che avrebbero dovuto salvare il mondo della carta stampata trasferendolo sul digitale. Ma gli iPad, altra fantastica meraviglia digitale, non sono gli smartphone e stanno segnando il passo. Questi ultimi ormai hanno fagocitato tutto: dalla musica in streaming a tutto il resto. Ma paradossalmente anche gli smartphone sono un prodotto maturo e i nuovi modelli potenziano l’esistente, sono poche le innovazioni. Il problema vero di Apple è che, nonostante i progetti e la diversificazione, è di fatto un’azienda monoprodotto: il 75% di quegli 84 miliardi di ricavi viene dagli iPhone, che però - come detto - sono insidiati dalla concorrenza cinese (e coreana: Samsung è un temibile avversario di Cupertino). Essere dipendenti da un solo prodotto, per un’azienda, espone a grossi rischi. E i rischi, nell’era digitale, si vedono per prima cosa in Borsa. Basta digitare «Wall Street» sull’iPhone.

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