Crisi Italia, politica
osservata speciale

Interrogati sul gradimento accordato al governo relativamente alle due questioni chiave del momento - emergenza sanitaria e allarme economico -, gli italiani hanno espresso valutazioni nettamente divaricate. Sul primo punto hanno espresso un apprezzamento largamente maggioritario, sul secondo forti perplessità. La flessione del consenso fornisce utili indicazioni. Dimostra innanzitutto che nessuno - partito o governo che sia - può cullarsi sull’illusione di avere, come un tempo, zoccoli duri su cui confidare. L’ opinione pubblica è diventata guardinga, scettica, estremamente reattiva. In secondo luogo, e soprattutto, avvisa i partiti e i loro leader di stare in campana. Gli elettori li tengono sotto stretta guardia.

Indica infine che nel Paese «sta montando una disaffezione, se non un’ ostilità» (Istituto sondaggistico Tecnè) per le aspettative deluse, ostilità che potrebbe scivolare rapidamente in rabbia sociale. Il governo deve essere consapevole della sfida che lo attende: una sfida grave quanto cruciale per le sorti dell’ economia e forse della stessa nostra democrazia. Se incerti sono il suo svolgimento e gli esiti, certe sono invece le sue fasi.

La prima è immediata. I prossimi mesi saranno segnati da una più che prevedibile sequela di licenziamenti e di cessazioni d’ attività, a fronte dei quali il governo accusa un’ allarmante difficoltà a reperire nuove risorse finanziarie capaci di scongiurare un’ ulteriore flessione del reddito degli italiani. Se i circa 100 miliardi stanziati sinora hanno sortito poco o nulla sul rilancio e invece tanto malcontento, fa venire i brividi lungo la schiena solo ipotizzare un aggravamento della crisi.

I 170 miliardi promessi dall’ Europa arriveranno non prima di gennaio. Nel frattempo l’ Italia dove potrà reperire altri miliardi? Presso il Fondo monetario internazionale, come propone la Meloni? O sul mercato finanziario? E a quale prezzo? Non certo allo 0,1% offerto dal Mes, il Fondo europeo di stabilità, tanto disdegnato da M5S, Lega, Fratelli d’ Italia.

Ammesso che gli ingenti fondi stanziati dalla Commissione europea non siano ridimensionati dai governi cosiddetti «frugali», si aprirà a gennaio il secondo tempo della sfida. Arriveranno allora fondi ingenti, ma condizionati, a tranche e in parte a debito, quindi da rimborsare. Non è questa una sfida da prendere sotto gamba né un’ occasione di festa, come sembra abbia pensato Di Maio che s’ è affrettato a promettere generosi e generalizzati sconti di tasse. Il diavolo sta tutto in quel «condizionati».

Per accedere ai fondi stanziati dall’ Ue sono previsti infatti dei precisi impegni: indicarne la destinazione, presentare un piano di investimenti (diconsi investimenti, non sussidi), rispettare infine tempi e vincoli del loro impiego. Gli investimenti da effettuare riguardano la digitalizzazione, la tecnologia, la sostenibilità ambientale, la giustizia civile, la burocrazia. Riforme che attendono di essere attuate da quel po’. Domanda: con un Paese che non riesce regolarmente a impegnare i fondi europei assegnati, che non sa cantierizzare la gran mole di opere pubbliche già finanziate, non è lecito nutrire qualche dubbio sulla sua capacità di superare la gran prova che l’ aspetta?

Grande è la sfida sotto il cielo, poche sono le idee per affrontarla, e vaghe anche quelle. Quesito finale: saprà un governo nato in nome dell’ emergenza riuscire laddove non sono riusciti nemmeno governi di programma o il fiume di denaro in arrivo da Bruxelles finirà, una nuova volta, impantanato in mille rivoli assistenziali?

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