Decreto Genova
Occasione persa

L’approvazione del cosiddetto decreto per Genova ieri è stata preceduta nell’aula del Senato (quella che si presume composta da deputati saggi e maturi, tutti sopra i 40 anni) da un’indegna gazzarra, quasi ci trovassimo di fronte a una legge divisiva o foriera di polemiche come potrebbe essere un qualsiasi provvedimento economico. Bisognava mettere da parte l’appartenenza politica e mettersi al servizio del Paese e invece sembrava di essere allo stadio. Quando si trattava di affrontare un’emergenza che dura da tre mesi, cioè dal crollo del ponte Morandi.

Una sciagura che ha causato 43 vittime e 266 famiglie sfollate, per non parlare delle enormi difficoltà in cui si dibatte il capoluogo ligure, dalla circolazione stradale che compromette il porto più grande d’Italia, al commercio, fino alle industrie locali. Ieri, nell’aula di Palazzo Madama, avrebbe dovuto essere celebrato un momento di forte unità, un voto unanime e quasi corale, di esempio per tutto il Paese e invece si è registrato il solito clima da «baruffe chiozzotte» rappresentato da un Parlamento sempre meno autorevole e sempre più surreale agli occhi dei cittadini. Anche il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Danilo Toninelli ha fatto la sua parte, esibendosi in gesti francamente inopportuni.

Che diavolo c’entrava il pugno chiuso dopo l’approvazione del decreto? Non si trattava di affermare la lotta di classe e nemmeno di sfidare qualcuno a muso duro bensì di rimboccarsi le maniche per riorganizzare una città che è al collasso e che patisce una tragedia nazionale piombata sulla testa dei suoi cittadini. Genova è ancora una ferita aperta, come ha detto la presidente del Senato Elisabetta Casellati.

Il provvedimento tra l’altro non è stato approvato all’unanimità ma con i voti contrari del Pd. Le motivazioni del senatore Matteo Renzi non sono sembrate convincenti di fronte all’esigenza di dare un segnale al Paese. È vero, c’erano state polemiche violentissime, si era accusato il partito di aver favorito Autostrade. Lo stesso Toninelli ha affermato che «alcuni responsabili siedono in quest’aula». Renzi ha fatto presente nel suo intervento che il Pd non ha mai partecipato alla concessione alla società Autostrade (che peraltro ora è sotto inchiesta da parte dell’autorità giudiziaria e non sappiamo ancora quale tipo di responsabilità abbia). Ma in questo caso, qualunque accusa politica si sia ricevuta, si passa sopra le polemiche e si vota per il bene comune. Per non parlare del mistero dei dieci Cinque Stelle che si sono accodati al Pd votando contro. Pare che uno di loro manco sapeva che si votasse in quel momento. Perché votare contro? Bisognava distinguersi politicamente in un momento cruciale come questo?

A dare fuoco alle polemiche è stato anche il famoso emendamento sul condono di Ischia. Forse non era il caso di inserirlo in un contesto del genere, che chiamava alla coesione nazionale. I cittadini che avevano partecipato ai funerali di Stato delle vittime del crollo del viadotto, applaudendo i politici intervenuti alla cerimonia, avevano dato ben altra prova di civismo. Quanto al decreto legge, come è noto, esso definisce i poteri del commissario straordinario (il sindaco di Genova Marco Bucci, che ora può lavorare con pieni poteri), fissa le spese del nuovo ponte a carico di Autostrade, definisce la zona franca ed eroga risorse per le nuove case degli sfollati, il trasporto locale e le imprese e i servizi compromessi dal ponte. Ma la cosa strana è che a tre mesi dal disastro ancora non si sa chi costruirà il viadotto, si sa solo chi lo pagherà. Povera Genova. E povera Italia.

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