Deficit e debito
la condanna

Il 2,4% di deficit si è trasformato in 2,04% e tutti lo ascrivono ad un colpo di genio comunicativo del portavoce del governo Rocco Casalino. Fumo negli occhi per nascondere la ritirata. La Commissione europea è stata al gioco. Nulla cambia però sulle prospettive. Ancora forti sono i pregiudizi ideologici nei confronti dell’Europa e della moneta unica. Il ministro Paolo Savona dà prova di realismo quando consiglia prudenza con un differenziale oltre il 3% sui titoli di Stato italiani e quelli tedeschi. Dovrebbe però spiegare perché ha tollerato che andassero persi da maggio ad oggi miliardi in interessi per il debito.

C’è voluta la protesta del partito del Pil per far capire che i vantaggi elettorali non sono quelli del ceto produttivo. Ma le presidenze delle commissioni parlamentari, rispettivamente del Bilancio e delle Finanze, alla Camera e al Senato sono occupate da due dichiarati euroscettici, Claudio Borghi Aquilini e Alberto Bagnai. Dopo le elezioni europee di maggio 2019 non è detto che Matteo Salvini rinunci alla sua felpa preferita con la scritta «No Euro».

Va ricordato che gli elettori britannici hanno votato per la Brexit perché volevano la sovranità e adesso comprano freezer a man bassa perché con il «no deal» si troveranno senza scorte alimentari. A questo porta la disinformazione e il pregiudizio ideologico. Le indagini demoscopiche dicono che la maggioranza degli intervistati in Gran Bretagna è per restare. Recriminano di non essere stati informati sulle conseguenze. Troppo tardi. Con la pancia non si fa politica e nemmeno con la nostalgia dei bei tempi antichi, quelli per gli inglesi del British Empire.

Qui da noi non si hanno vecchi imperi da rivendicare, quello romano era appunto romano e non italiano, e ci si accontenta della vecchia lira. Uno dei temi caldi degli euroscettici è: con la lira si poteva svalutare e quindi si permetteva alle aziende di stare sul mercato e di non fallire. Verissimo, nell’arco di tempo dal 1979 al 1992 l’Italia ha svalutato la sua moneta per ben sette volte, praticamente ogni due anni. Chi ci ha guadagnato? Non i cittadini che hanno avuto una perdita del potere d´acquisto del 203% in tredici anni contro il 103% della media dei Paesi dell’Eurozona. Ci hanno guadagnato gli occupati? Sembra di no perché i senza lavoro sono cresciuti dell’1,3% nell´arco di tempo in questione. Allora la produttività. Nossignore quella è calata ogni anno rispetto ai Paesi concorrenti. Ed il motivo è semplice: che interesse può avere l´azienda ad innovare se poi arriva la svalutazione? Il rincaro dei prezzi lo recupera con la perdita di valore della moneta. Ci si è mai chiesti perché la Fiat è crollata? Anche l’Avvocato con i profitti dell’azienda diversificava in attività finanziarie e immobiliari anziché investire nella produzione. Tanto poi arrivava la santa svalutazione e metteva tutti in pari. Ferdinand Piech, allora a capo di Volkswagen, sceglieva la strada dell’innovazione mentre il rampollo della dinastia industriale torinese si impegnava nei salotti. Lo Stato italiano «santifica», allora come ora del resto, il deficit. Tra il 1973 e il 1985 il disavanzo pubblico viaggia alla media del 9% a fronte del 3,5% dei 12 Paesi del mercato comune europeo, ma la disoccupazione passa dal 5,9% all´8,2%.

I debiti nascono dalla mancata creazione di valore. Questo è il punto dirimente. Con un’industria non competitiva si deve giocare sul prezzo. Fin quando arriva una Cina qualsiasi e mette tutti fuori mercato. Se c’è qualità, il cinese può rincorrere, ma ci vuole tempo e nel frattempo l’europeo, che ha costi alti, non sta fermo, la qualità la migliora e tiene il distacco. Chiedere alle 33.840 imprese italiane leader nell’export. Il triangolo svalutazione, deficit, debito è un modo di essere. Ed è la condanna italiana.

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