Difendiamoci dal pericolo
della prepotenza sociale

Capita che la cronaca proponga situazioni sconnesse tra loro ma riconducibili a un’unica morale. Per stare a questi giorni recenti di inizio agosto, abbiamo assistito a tre episodi che non possono non lasciare basiti: il pestaggio del carabiniere che aveva tentato di sedare una rissa a Castellammare di Stabia, il fronte del fuoco che per colpa di piromani da giovedì scorso assedia una città già segnata da ferite profonde come L’Aquila e infine il turista narciso e irresponsabile che per farsi un selfie ha danneggiato il gesso preparatorio di uno dei capolavori di Antonio Canova, la Paolina Borghese distesa sul divano. Sono situazioni di peso specifico diverso: ben più gravi i fatti di Castellammare e di L’Aquila, per l’impatto, per le conseguenze concrete e per il valore simbolico dal punto di vista sociale.

Eppure anche un episodio come quello accaduto nel bellissimo museo di Possagno, tutto dedicato al grande scultore del ’700, per quanto abbia causato un danno recuperabile grazie all’intervento dei restauratori, è il frutto di un’identica mentalità: quella di persone che ritengono di non dover ottemperare a nessuna regola. È una sorta di prepotenza sociale quella a cui assistiamo; una prepotenza ancor più ingiustificata e impressionante data anche l’esperienza da cui tutti veniamo, la dolorosa pandemia, e che dovrebbe indurre tutti a comportamenti più riflessivi. Evidentemente non è così. Che cos’è la prepotenza sociale? È la presunzione di aver diritto a comportamenti che ledono l’interesse comune a favore dell’interesse individuale. Ovviamente le forme sono molto diverse, come i tre episodi evidenziano. La prepotenza a Castellammare ha avuto una sua evidenza concreta e tristemente dolorosa vista che è costata una prognosi al carabiniere che ha coraggiosamente tentato di sedare la rissa e di far rispettare la regola dell’ordine pubblico. L’incendio di L’Aquila è un atto di prepotenza nei confronti di quello che è un bene di tutti, il bosco e il terreno che viene violato per un interesse privato. L’incidente di Possagno è frutto di una prepotenza più sottile, quella che ci fa invaghire di noi stessi e che rende legittime anche operazioni incaute come quella del turista (a quanto pare austriaco) che per fotografarsi ha finito con l’andare addosso al delicato capolavoro di Canova.

I tre episodi sono emblematici nella loro diversità, proprio perché evidenziano un pericolo che riguarda potenzialmente ogni ambito della convivenza civile: la prepotenza, piccola o grande, palese o latente che sia è un «virus» da cui dobbiamo non tanto difenderci come singoli, ma come collettività. Siamo alla vigilia di un settembre delicato e che si prospetta certamente pieno di incertezze: c’è da decidere se affrontarlo nel segno di un bene che sia bene di tutti, o invece restare in balia di interessi particolari, i cui conflitti si risolvono inevitabilmente solo con atti di prepotenza. Le stesse parole di Sergio Mattarella, rivolte a coloro che negano la pericolosità attuale di Covid-19, arrivano propizie a questo proposito. «La libertà non è far ammalare gli altri», ha detto il presidente. Al di là della situazione specifica a cui faceva riferimento, queste parole indicano un criterio, semplice e civile, a cui attenersi per far sì che la collettività (cioè noi) possa affrontare le pesanti sfide che l’attendono. Davanti alla prepotenza sociale, qualunque sia la forma con cui si presenti, non ci deve tirare indietro: il comportamento del coraggioso appuntato di Castellammare è di esempio. Avrebbe potuto passare oltre, visto che non era neppure in servizio, e invece s’è messo in mezzo. Non è un eroe, è semplicemente una persona che difende il bene di tutti.

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