Educazione civica
paradosso italiano

Prima gli italiani. America first, Brexit, Viktor Orban in Ungheria, Jaroslaw Kaczynski in Polonia, la lunghezza d’onda è quella. I popoli si ribellano. Hanno lasciato sul campo posti di lavoro, aziende, sicurezza sociale. E anche se non hanno ben chiaro il nemico da combattere, l’orgoglio nazionale dà un senso di appartenenza. Ottocento milioni di cinesi hanno guadagnato quello che in questi decenni noi in Occidente abbiamo perso. Di chi è la colpa? Di quelli che sognano da secoli di uscire dalla miseria? O delle élites, dei poteri forti, delle grandi multinazionali, ovvero della globalizzazione? Il capro espiatorio assolve tutti, ma non ci dice cosa fare. Abbiamo bisogno di modelli ai quali ispirarci. Al tempo del Risorgimento vi erano Cavour, Garibaldi, Gioberti, Mazzini, uomini che si riconoscevano nella nazione, come valore condiviso. Adesso abbiamo gli italiani, ma non sappiamo quali.

In questi giorni è stata depositata alla Camera la richiesta per una legge di iniziativa popolare. Sono necessarie 50 mila firme, ne sono state raccolte 83 mila circa. Duemila comuni sui 7.926 presenti in Italia, l’Anci - l’associazione che li riunisce - e 27 associazioni di vario colore o indirizzo. Un pezzo d’Italia si rivolge al Parlamento per proporre la reintroduzione dell’Educazione civica a scuola, come disciplina con valutazione autonoma. Un tema per l’Italia rivoluzionario. Per capirne la portata, basta guardare fuori dal finestrino e osservare la strade sulle quali quotidianamente circoliamo. Un giapponese in visita in Italia si stupiva perché la gente butta ancora i mozziconi di sigaretta per terra. Ma non si insegna a scuola? No, non si insegna. In verità non ce ne sarebbe bisogno perché è in famiglia che questi comportamenti vengono trasmessi. Fanno parte dell’abc del vivere civile. Ma il degrado dei nostri giorni è proprio questo, il venir meno della famiglia come modello di riferimento. All’asilo in Svizzera o Germania, in Svezia il bambino mette di suo in tasca le carte della caramella. Non lo facesse sarebbero gli altri bambini, prima ancora degli insegnanti, a stupirsene. La sera a casa la mamma provvede a ripulirlo. Ma anche in assenza di una famiglia attenta l’istituzione convalida la prassi convenuta e quindi anche il bambino si adegua senza ingiunzioni di sorta. Fanno tutti così, lo faccio anch’io.

Per tornare sui nostri passi, a titolo di esempio, chi ha modo di percorrere la strada che porta da Canonica alla Geromina di Treviglio e guarda ai lati della strada potrà vedere sacchetti di immondizie buttati, senza che ormai nessuno si indigni. Fa parte del paesaggio. La manutenzione delle strade consiste nel taglio delle erbacce, ma i rifiuti non li tocca nessuno, se del caso triturati e dispersi dalle lame del taglia erba. Non c’è bisogno di andare a Roma, Napoli o Palermo. Là ci sono i grandi numeri che riempiono le pagine dei giornali, qui i piccoli comportamenti quotidiani. Non sappiamo cosa ne sarà di questa legge di iniziativa popolare, ma resta il fatto che in Lombardia i firmatari sono 27.261: a testimonianza del fatto che il problema esiste ed è sentito. Si tratta solo di scegliere il modello di italiano al quale vogliamo ispirarci. Quello che tace, porta la carretta, paga volente o nolente le imposte, crede ancora nella famiglia e cerca di trasmettere ideali di vita e senso civico ai propri figli oppure quelli che abbaiano, urlano al lupo al lupo, fanno teppismo allo stadio e, se eletti, si azzuffano in Parlamento? Rispetto delle regole, questo il problema italiano. Può anche essere vero che la colpa sia degli altri ma se non si comincia a fare un esame di coscienza dei propri doveri non se ne viene fuori.

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