Eurobond, ma l’Italia
confida nella Bce

È comprensibile la prudenza con cui il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri tratta la questione degli aiuti europei per combattere la pandemia e contrastare le sue immediate (e pesanti) conseguenze economiche. Dice Gualtieri: l’aiuto senza condizioni del Mes con l’emissione di titoli comuni – i cosiddetti «Corona-bond» – può essere utile ma resta centrale il ruolo della Bce con la possibilità di un aumento degli acquisti dei titoli nazionali oltre il programma già varato che vale i 750 miliardi stanziati dopo le note e disastrose dichiarazioni della presidente dell’istituto di Francoforte Christine Lagarde.

Perché Gualtieri mette l’accento sulla Bce piuttosto che sul Mes nonostante che l’intervento senza condizioni del Fondo sia stato evocato dallo stesso presidente del Consiglio Conte? Perché sa benissimo quanto la questione sia divisiva in Europa e nella politica italiana. In Europa si è già capito che per ottenere gli eurobond e l’aiuto del Mes senza le condizioni capestro che furono messe per esempio alla Grecia, bisognerebbe superare come al solito il no della Germania e dei suoi ascari più fedeli, a cominciare dagli olandesi.

Berlino ha detto sì all’impensabile (fino a poche settimane fa) cioè alla sospensione del patto di stabilità per la ragione che i tedeschi adesso hanno necessità – questa volta tocca anche a loro – di fare debiti e sforare i tetti di Maastricht per aiutare le imprese in difficoltà e nazionalizzarle se necessario. Ma Angela Merkel non ha intenzione di andare oltre, tanto è vero che il suo ministro delle Finanze Almaier ieri pomeriggio, prima della riunione dell’Eurogruppo, diceva che quello sugli eurobond «è un dibattito fantasma» e che «queste genialità» sono «idee vecchie già bocciate». Il fedele Wopke Hoekstra, ministro delle Finanze di Amsterdam, annuiva vigorosamente alle parole del suo caposquadra teutonico: «Chi chiede aiuto deve dare garanzie e il debito è suo, non di tutti noi». Quindi Gualtieri sa che si apre una partita in Europa che molto probabilmente si chiuderà come in passato, con un nulla di fatto dovuto ad una resistenza, da parte dell’arcigno «partito del Nord», che non viene scalfita neanche dalla pandemia, ossia dalla più grave crisi che l’Europa si trovi a superare dalla fine della Seconda guerra mondiale. Nello stesso tempo il ministro del Pd conosce benissimo l’ostilità del M5S all’idea di utilizzare il Mes e anche, come è stato detto negli ultimi due mesi, di approvare la riforma peggiorativa del medesimo (per il momento solo rimandata). Di Maio chiede che Conte metta anzi il veto sulla riforma, quando sarà, e se non andrà così è pronto a creare un caso politico. Anche perché sul Fondo salva Stati l’opposizione sta già facendo le barricate con uno slogan di grande forza propagandistica: «Il Mes ci ridia indietro i nostri soldi!», dicono ad alta voce sia Giorgia Meloni che Matteo Salvini. Già, perché il Fondo – che dispone di poco meno di 500 miliardi – si sostiene con i contributi di tutti gli Stati membri e l’Italia è il terzo contributore. Leghisti e Fratelli d’Italia sono pronti a sventolare la loro bandiera da qui a chissà quando: un’arma che né Gualtieri né Conte né Di Maio vogliono regalare ai loro avversari. Certo, bisogna vedere quali sono i veri impegni sulla riforma del Mes che l’Italia ha sottoscritto già ai tempi del governo giallo-verde Conte 1: sulla faccenda a Roma si racconta una storia e a Bruxelles un’altra, diversa.

L’Italia insomma non sembra intestardirsi oltremisura sulla questione degli eurobond: vuole semmai un aiuto consistente da Francoforte. Anche perché è stato annunciato un nuovo decreto con altri, «cospicui» aiuti alle imprese (forse altri 25 miliardi, sempre in debito) e serve che la Lagarde faccia l’ulteriore sforzo che ha promesso.

© RIPRODUZIONE RISERVATA