Fiducia provvisoria
Governo sul baratro

Basta quell’aggettivo, «interlocutorio» per dire che l’incontro di cinquanta minuti tra Mattarella e Conte è stato tutto tranne che tranquillizzante.
Il voto di martedì in Senato è stato come una toppa messa alla crisi dovuta all’uscita di Renzi dalla maggioranza, ma in parecchi pensano che la toppa, come si dice, sia ora peggiore del buco. Perché quei 156 voti
a favore raccolti con enorme fatica – e gran dispendio di promesse – tra senatori isolati, naufraghi, dispersi, espulsi da altri gruppi, non garantiscono affatto l’azione di governo.

Basti dire che senza Italia Viva non c’è maggioranza nelle commissioni e, senza numeri, i provvedimenti di palazzo Chigi e dei ministeri sono destinati o a essere stravolti dall’opposizione o a cadere nel cestino. Con l’aggravante che quando un presidente del Consiglio è appeso agli umori o alle ambizioni di questo o di quello oppure alle condizioni di salute dei pur valorosi ma anziani senatori a vita, è di fatto sotto ricatto e prima o poi cadrà. Come successe a Romano Prodi che aveva di fronte un Senato esattamente come Conte, e infine pagò le bizze di un tale senatore Turigliatto che ancora sognava l’Unione Sovietica. Volete un appuntamento ad alto rischio? Il 27 gennaio il Guardasigilli Bonafede presenterà la sua relazione sulla giustizia in Parlamento: che garanzia c’è che venga approvata? Quasi nessuna, e una bocciatura del capodelegazione grillino al governo suonerebbe davvero molto male.

Questo panorama non tranquillizza Mattarella che infatti ha fatto scivolare l’inquietante aggettivo «interlocutorio» giù dal Colle fino alle redazioni dei giornali per far capire che aria tira. Come riparare? In realtà la soluzione sarebbe la costituzione di gruppi centristi (un abbozzo c’è alla Camera con 13 deputati cui ha aderito Renata Polverini, ex aennina, ex pidiellina, ex forzitalista ora governista) e possibilmente sostenitori di Conte premier. La possibilità di mettere insieme dei manipoli ci sarebbe ma, come si è visto, soprattutto i senatori al momento non si muovono. Il momento magico dovrebbe essere il rimpasto con il quale mantenere le promesse fatte ai «volenterosi» e acquietare i partiti e le loro correnti. Ma un rimpasto molto ampio, tale da stravolgere l’impianto ministeriale, fatalmente porterebbe Mattarella a pretendere dimissioni e nuovo passaggio parlamentare: Conte punterebbe i piedi fino allo sfinimento. In questo limbo Matteo Renzi si comporterà non come quello che provò a cacciare Conte e non ci riuscì, ma come colui che aspetta sulla riva del fiume il cadavere dell’avversario.

Se la situazione peggiorasse in breve tempo ci sarebbero tante ipotesi, l’ultima delle quali sono le elezioni. Una è sicuramente un governo di responsabilità o qualcosa del genere («maggioranza Ursula» dal nome della Von der Leyen votata alla Commissione europea da centrosinistra, grillini e berlusconiani) cui Renzi si è più volte dichiarato disponibile: con un altro presidente del Consiglio, ovviamente. In questo caso Forza Italia ne potrebbe far parte: non è sfuggito a Salvini e Meloni quello strano «sì» al governo di Maria Rosaria Rossi talmente fedele a Berlusconi da essere a suo tempo definitiva malevolmente come la «badante» del Cavaliere. Una prospettiva di questo genere avrebbe un prezzo molto alto da pagare: la rottura del centrodestra la cui unità è stata finora difesa con i denti. Ma tutti sanno che tanti parlamentari azzurri proprio non se la sentono di prendere ordini da Salvini e Meloni e potrebbero andare altrove a cercare la rielezione, a meno che Berlusconi non decida una linea di «responsabilità». Appunto. Tutte ipotesi, ma che partono da un dato di fatto. Da martedì, con 156 voti al Senato, il governo sta in piedi su una gamba sola. Quanto può resistere?

© RIPRODUZIONE RISERVATA