Fra Trump e Kim
stretta efficace

«Mi sento alla grande». Pare che Donald Trump abbia così commentato i pochi passi che, dalla zona demilitarizzata che divide le due Coree, lo hanno portato a metter piede, primo presidente americano della storia, nel territorio della Corea del Nord. C’è da credergli. Se non altro perché Trump veniva dal G20 di Osaka (Giappone), dove aveva già ottenuto notevoli risultati. Il consesso delle nazioni era stato oscurato dal confronto tra Usa e Cina. E il braccio di ferro politico ed economico tra le due potenze, che da tempo si sfidano a colpi di dazi commerciali e non solo (si pensi alle implicazioni, anche giudiziarie e spionistiche, del «caso Huawei»), si era concluso con una chiara, anche se non definitiva, vittoria degli Usa. Il governo di Pechino, preoccupato per la minaccia americana di alzare i dazi dal 10 al 25% su 250 miliardi di esportazioni cinesi verso gli Usa, ha accettato di tornare al tavolo delle trattative. Tavolo che peraltro si propone una cosa sola: ridurre il deficit commerciale americano verso la Cina.

È questo il contesto in cui va inserito anche il terzo e più clamoroso incontro (dopo quelli di Singapore e Hanoi) tra Donald Trump e Kim Jong-un. Difficile credere, infatti, che alla stretta di mano tra i due leader siano stati estranei i buoni uffici dei dirigenti cinesi, che tanto peso hanno nelle strategie politiche della Corea del Nord. Se così è, vuol dire che il presidente cinese Xi Jin-ping conta su una futura intesa politica e commerciale con la Casa Bianca. E che in nome di tale intesa ha voluto regalare all’omologo americano un gigantesco spot che Trump, com’è ovvio, non esiterà a sfruttare per la lunghissima campagna che porta alla sfida elettorale del 2020 e che è appena partita.

Molti, e giustamente, fanno notare che lunga e impervia è la strada che porta all’obiettivo finale, in teoria da tutti perseguito: la denuclearizzazione della penisola coreana. I tweet di Trump e le invenzioni di Kim Jong-un potrebbero non bastare. Tutto vero. Resta però il fatto che da quando i due hanno cominciato a vedersi e parlarsi, la Corea del Nord ha sospeso sia i test nucleari sia quelli missilistici. E non solo le due Coree ma anche il Giappone e gli altri Paesi dell’area risentono in maniera positiva del relativo calo di tensione. A questo punto anche l’episodio di Hanoi, quando il leader nordcoreano aveva abbandonato i colloqui, alla luce di quest’ultimo incontro va derubricato a semplice e non insuperabile battuta d’arresto, come peraltro scrivemmo proprio qui in quei giorni. Insomma: anche con la Corea del Nord, almeno finora, l’azione di Trump è stata tanto stravagante quanto efficace. In perfetta coerenza con il resto della sua presidenza, peraltro. L’economia americana va a gonfie vele (disoccupazione mai così bassa dal 1969, occupazione in aumento, salari in crescita, export che corre, indici azionari alle stelle) a dispetto dei tantissimi «esperti» che avevano pronosticato un tracollo.

E in ogni parte del mondo, dall’Asia all’Europa, dal Medio Oriente all’America del Sud, la Casa Bianca fa sentire in ogni occasione tutto il proprio peso. Donald Trump, insomma, è come uno di quegli insetti che secondo le leggi dell’aerodinamica non potrebbero volare, eppure lo fanno. Ora che i gufi della prima ora hanno perso di credibilità, è ora di cominciare a chiedersi se l’uomo dal ciuffo giallo non stia ridefinendo, con il suo «America first!», le regole della politica globale. Sarebbe prudente farlo, visto quanto siamo inclini a confondere i fatti con i desideri.

© RIPRODUZIONE RISERVATA