Generazioni
a confronto
nell’Italia
produttiva

La saga dei De Benedetti intorno al gruppo di Repubblica va oltre i risvolti editoriali e finanziari ed è emblematica dello scontro tra generazioni nella classe dirigente italiana. L’Ingegnere, alla tenera età di 85 anni, mettendo sul piatto 38 milioni di euro, vuole riprendere il controllo del gruppo Gedi, che fa capo alla Cir, la holding da lui fondata e poi ceduta ai figli. Gedi è una vera e propria galassia mediatica che oltre a Repubblica comprende, tra l’altro, radio, tv, numerosi quotidiani locali e giornali del calibro della Stampa di Torino e del Secolo XIX di Genova. «Offerta irricevibile», gli hanno fatto sapere i suoi eredi. Ma papà non ha intenzione di mollare la presa e ha idee molto precise su come rilanciare il gruppo: investire «pesantemente» sul digitale ad esempio, settore evidentemente trascurato dai figlioli. Quanto ai figli, in un’intervista ad Aldo Cazzullo sul Corriere della sera dichiara «che non sono capaci di fare il mestiere dell’editoria».

Ma De Benedetti è persona troppo intelligente per rimbrottare i figli attraverso un’intervista pubblica. Sotto c’è ben altro: c’è l’enunciazione di una visione dell’editoria intesa non come pura azienda da valutare tramite i suoi «fondamentali» (fatturato, copie vendute...) ma attraverso quel valore aggiunto che proviene da una redazione, qualunque essa sia: che significa scambio di idee, contenuti, notizie, narrazione e critica del potere, interpretazioni della realtà, conduzione di uomini, gioco di squadra. Insomma, non un «business declinante», ma un universo da gestire con passione. Ed è forse una lezione per tutti quegli editori che pensano che il «piccolo mondo antico» dell’editoria sia un moribondo da accompagnare alla morte e non un cantiere perennemente in movimento.

Il «vegliardo» De Benedetti ha tutt’altre idee: sa che la fame di cultura e di informazione non morirà mai e che bisogna darle solo una veste diversa. È questo il vero mestiere, la sfida dell’editore. La mossa un po’ sconcertante dell’Ingegnere è stata apprezzata da uno che se ne intende, Urbano Cairo, a capo del gruppo Rizzoli, che infatti l’ha nobilmente definita «romantica». Perché, come ha spiegato l’Ingegnere, un’azienda editoriale «non è fatta di carta e inchiostro, è fatta di persone, idee, passioni».

De Benedetti non è l’unico Paperone ottantenne che sta tenendo banco nelle cronache della finanza italiana. Ci sono altri Paperoni classe 1930 e dintorni che tornano all’onore delle cronache di Piazza Affari. Ad esempio Leonardo Del Vecchio e Luciano Benetton, classe 1935. «Senza di loro, quel che resta di Piazza Affari sarebbe un luogo certamente più noioso», ha scritto sul «Sole24Ore» Alessandro Graziani. Luciano Benetton è tornato personalmente alla guida dell’omonima società di abbigliamento per rilanciarne il marchio. Quanto all’ex Martinitt ed ex incisore di medagliette Del Vecchio, ha da poco abbandonato il jogging in Costa Azzurra per realizzare la fusione multimiliardaria tra la sua Luxottica e la francese Essilor e sta rastrellando azioni del salotto buono della finanza italiana, Mediobanca.

Questa voglia di «raddrizzare l’azienda», restituendola alle sue antiche sorti, anziché godersi una vecchiaia serena, viene da lontano. Perché molto spesso, anzi sempre più spesso, i vegliardi hanno quella capacità di «visione» che i loro figli non hanno, costituita da un’esperienza che permette loro di decifrare molto meglio l’avvenire (è noto che per conoscere il futuro bisogna partire dalle linee di forza del passato) e da una passione nutrita da una salute di vecchia quercia. E chissà che le due cose – passione e salute - non siano in stretta relazione.

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