Giovani e lettura
Dante non si naviga

Secondo i dati dell’ultima indagine Ocse, gli studenti italiani peggiorano quanto a capacità di lettura: con il loro punteggio di 476 si collocano sotto la media (487), e restano indietro rispetto all’anno 2000 di 26 lunghezze, rispetto al 2009 di 20. Uno su quattro, inoltre, non sa la matematica ed è insufficiente in scienze. A colpire di più, è senza dubbio il dato sulla lettura, attività trasversale a tutte le discipline e, si potrebbe dire, essenziale per una vita sociale consapevole.

Paradossalmente, i giovani di oggi leggono moltissimo, molto più dei loro coetanei di venti o trent’anni fa. Il problema è che cosa leggono. Leggono i social sui loro smartphone, sui loro tablet, sui loro computer. E in quelle sedi leggono una lingua scorretta e basica, infarcita di emoticon e povera di punteggiatura; lessicalmente misera, ripetitiva e votata a una sinteticità talvolta imposta (si pensi a Twitter o Instagram). Basta prendere un autobus o un treno, per vederli: nessuno con un libro in mano, tutti chini sul loro dispositivo tecnologico. Poi, la scuola li mette a confronto con Dante o con Verga, prova ad assegnargli senza grande successo dei romanzi da leggere, e infine li esamina su testi complessi. E lì l’asino casca.

Nel senso che, abituati a messaggi rapidi e semplici, e a un linguaggio scritto ma solo parzialmente verbale e poco attento alla correttezza morfosintattica, i giovani lettori dell’epoca social si arenano, fraintendono, banalizzano. L’esperienza è comune a genitori e professori: a un testo da riassumere, che sia una lettera di Petrarca o un articolo di giornale, i loro figli ed allievi fanno dire ciò che non dice, senza coglierne il senso profondo e perdendone le sfumature, anche quando essenziali. Perché, in fondo, sono come persone abituate a mangiare bastoncini di pesce che d’improvviso, con in bocca ancora quel sapore, debbono riuscire a riconoscere ed apprezzare piatti più sofisticati, cucinati da medi o da grandi chef.

Di fatto, la scuola, con le sue proposte e le sue prove, rispetto all’esperienza quotidiana dei ragazzi rappresenta un’alterità sempre più distante, quasi inconciliabile. E non c’è solo il livello linguistico, a creare problemi. Più in generale, si può dire che la navigazione in internet, come denuncia la stessa metafora chiamata a designarla, abitua a superficialità e rapidità, mentre la lettura di testi letterari o comunque articolati e non elementari richiede tempo, pazienza, approfondimento. Gli studenti falliscono nella lettura di fronte ai loro titoli di temi come di fronte ai questionari dell’Ocse perché sui loro schermi luminosi sono abituati a scorrere con rapidità di immagine in immagine e di messaggio in messaggio, magari gettando intanto un occhio alla partita di calcio o a un film in televisione, laddove la scuola, ancora, chiede loro di calarsi in profondo, e di ascoltare il testo con pazienza. Operazione cui si sottopongono con una indocilità neppure sempre consapevole.

Un’ultima osservazione circa il contesto in cui tutto ciò avviene. Con la scuola e con il suo lavoro interagiscono infatti (pesantemente) da una parte le famiglie, già in allarme alla prima insufficienza e più di tutto desiderose che l’andamento scolastico non crei problemi, e dall’altra le gerarchie scolastiche stesse, che alimentano un sistema perverso, nel quale contano solo i numeri (dei promossi) e vige un sistema di valutazione generoso. Chiaro che le une e le altre tutto possono favorire, fuorché l’abitudine dei ragazzi a un lavoro di «lettura», dei testi come del mondo, coltivato con attenzione, rispetto della verità e precisione.

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