Governo, i conti
e le favole

Quando e di quale entità sarà la inevitabile manovra correttiva dei conti pubblici? Quanto potrà ancora sopportare il Paese la mancanza di iniziativa politica e di misure per il rilancio della economia? Il dibattito economico-politico si è condensato ormai da tempo attorno a queste due domande, nello stillicidio quotidiano di dati che confermano non solo l’arretramento dell’economia ma il perseverare di dati negativi sul fronte della produzione industriale e dei consumi.

Anche l’outlook negativo nel rating di Fitch, dovuto all’incertezza della gestione politica del Paese, rispecchia questa situazione. Il prossimo appuntamento governativo sarà la presentazione in Parlamento del Documento di economia e finanza (Def) ai primi di aprile. Difficile immaginare che contenga qualcosa di propositivo, ma servirà a certificare due cose. La prima, scontata, confermerà l’abbattimento delle aspettative di crescita del Pil nell’anno corrente cancellando quell’ottimistico 1% contenuto finora nei documenti di finanza pubblica. Facile immaginare che si cercherà in tutti i modi di tenersi il più lontani possibile da quello 0,2% che al momento appare come il dato più realistico. Si dovrà in ogni caso prendere atto che il dato acquisito di riferimento certificato dall’Istat per l’inizio del 2019 è -0,2%. Ma c’è un secondo numeretto che si dovrà trovare nascosto nelle pagine del documento. È quello che certificherà come già è aumentata la spesa per interessi nella gestione del debito pubblico. Smonterà la favola che il peggioramento dello spread in questo quasi primo anno di governo gialloverde (circa 150 punti di media in più) appartenga al dibattito ideologico di confronto tra diverse dottrine politiche. È invece un dato concretissimo che si ripercuote non solo sulla fiducia di consumatori e produttori, ma anche sulla spesa che ad ogni emissione di titoli di Stato (due volte al mese) il Tesoro deve affrontare. Senza parlare poi degli effetti su risparmiatori e debito privato, a iniziare dai mutui.

Scopriremo così che viene abbondantemente mangiato quello sbandierato tesoretto di circa 2 miliardi contenuto nella Finanziaria di dicembre e di quanto è già un dato di fatto il peggioramento dei conti pubblici a prescindere dal tracollo del Pil. Tutto questo tenendo presente che una inevitabile manovra correttiva non potrà che avere effetti depressivi sull’economia. Cosa si sta facendo sul fronte delle manovre espansive? Le misure fin qui adottate dal governo, ad iniziare da quella meno sbandierata ma più avvertita da una parte minoritaria del Paese – ci stiamo riferendo alla cosiddetta flat tax sulle partite Iva –, non hanno nulla di espansivo. I segnali che arrivano sul fronte degli investimenti pubblici sono tutti di segno negativo, ad iniziare dal dibattito, questo sì tutto ideologico sebbene con pesanti ripercussioni economiche, sulla Tav Torino-Lione.

La marginalizzazione dell’Italia dagli incentivi Ue connessi con il nuovo bilancio è legata a queste scelte nostre, non è dovuta a fattori esterni, Nulla sul fronte degli investimenti, nulla di nuovo anche sul fronte degli incentivi all’industria e all’occupazione. Il quadro si presenta stabile, con peggioramenti legati alla propaganda dello scontro politico elettorale, fino alle elezioni amministrative ed Europee di fine maggio. Facile prevedere che ci giocheremo così la possibilità di mettere in campo misure che possano cercare di cambiare il segno al secondo semestre dell’anno. Quali le prospettive del dopo? Piuttosto che dibattere sui contenuti delle possibili misure da mettere in campo, il panorama politico pare abitato solo da previsioni pessimistiche sulla tenuta del governo, fino ad arrivare all’ipotesi di nuove elezioni politiche per affidare la prossima Finanziaria (e stiamo parlando quindi del 2020, dando per perso l’anno in corso) ad un nuovo governo. Questo è il «bellissimo 2019» che ci aspetta, per usare la sciagurata battuta del premier Giuseppe Conte di appena qualche settimana fa.

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