Governo sempre
sotto scacco

Molto di quel che sta accadendo dalle parti del governo e della maggioranza in questa convulsa situazione di post pandemia (ma non di scampato pericolo, sia sanitario che soprattutto economico) trova spiegazione nella situazione che si è creata a Palazzo Madama. Al Senato infatti in qualunque momento potrebbe andare di nuovo in scena una di quelle votazioni-incubo che a suo tempo segnarono la fine dei governi di Prodi. Il margine di sicurezza della maggioranza si è molto assottigliato anche di recente con le fuoriuscite dal M5S, (alcune delle quali sono andate a rafforzare la Lega) che sarebbero secondo alcune voci soltanto le avvisaglie di nuovi addii al movimento.

Insomma, il governo rischia: ogni singolo atto può mandarlo sotto, e la politica del rinvio e del «salvo intese» con cui vengono approvati i provvedimenti comincia ad esaurirsi. Ecco come si spiegano le continue avance di Silvio Berlusconi e della sua opposizione «responsabile», e come si interpretano le risposte assai rispettose che arrivano da Palazzo Chigi (Conte anche nei giorni scorsi ha elogiato la posizione «ragionevole» di Forza Italia) e dall’area del Pd. Ieri è stato Romano Prodi a dire che l’avvicinamento di Berlusconi alla maggioranza «non è più un tabù», e che se serve a difendere l’Italia in Europa, ben venga. Perché questo è il punto: la trattativa a Bruxelles sul Recovery Plan può mettersi male se noi continuiamo a rinviare la decisione sul Mes – che i partner considerano come una specie di promessa di affidabilità – e soprattutto a scrivere qualcosa di concreto su come vogliamo spendere i soldi che potranno arrivare. Finora la grande specialità di Conte è stata il rinvio e l’etichettatura di scatole vuote: lo stesso piano nazionale di riforme varato all’alba dell’altro giorno dal Consiglio dei ministri insieme al provvedimento «Semplificazione» - «salvo intese» - è in realtà un elenco di titoli tanto incontestabili («Riformare la pubblica amministrazione per renderla più efficiente e veloce») quanto generici. Se si va più vicino alla sostanza, si rischia, e al Senato la bomba potrebbe scoppiare in qualunque minuto. Prima o poi sul Mes si tratterà di votare, e lì si vedrà se intorno a quella decisione che i grillini ardentemente rifiutano si formerà una maggioranza («istituzionale», «tecnica», «europeistica», naturalmente: tutto tranne che politica) che porti dentro il Cavaliere e i suoi senatori.

Per il resto, in questo momento il governo si giova di un aiuto indiretto ma molto concreto da parte dei giudici. Dopo aver rigettato il ricorso della Società Autostrade sull’esclusione della stessa dai lavori del Ponte Morandi, ora arriva dalla Corte Costituzionale un’altra sentenza che boccia come «irragionevole» il decreto Salvini sulla sicurezza per quel che riguarda l’iscrizione dei migranti all’anagrafe. In entrambi i casi i giudici hanno aiutato il governo ad uscire dalla sua irrisolutezza.

Sul caso Autostrade Pd e 5S hanno duellato per mesi senza trovare un accordo e anzi rischiando la clamorosa gaffe di consegnare il nuovo ponte proprio a coloro, i concessionari di Aspi, accusati di aver fatto cadere il vecchio e allontanati con sdegno dalla ricostruzione. Adesso il governo sta facendo la voce grossa sulla concessione e infatti i Benetton vengono a patti.

Sui decreti sicurezza, poi, anche in questo caso la divergenza tra democratici e grillini che produce continui rinvii nella revisione dei testi di Matteo Salvini, potrà essere in qualche modo appianata dalla decisione dei supremi giudici.

Sul decreto Semplificazione invece per il momento non è dato avere certezze: a Montecitorio sono aperte le scommesse su quanti giorni impiegherà il testo provvisorio presentato (dopo novanta giorni di gestazione) da Conte alla stampa come «la rivoluzione», ad approdare finalmente alle rotative della Gazzetta Ufficiale: prima bisognerà arrivare a quelle «intese» tra ministri, partiti e alte burocrazie, che per il momento non ci sono.

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