I minibot, l’anti-euro
Dai sacrifici non si scappa

«L’uscita dell’Italia dall’euro non sarebbe una bestemmia». Nel giugno del 2012 Silvio Berlusconi dice l’innominabile e da allora il dibattito politico italiano ruota attorno all’angoscioso dilemma: dentro o fuori dall’euro? Il dubbio ritorna adesso con la proposta approvata all’unanimità dal Parlamento di introdurre i minibot. Forme di pagamento che la pubblica amministrazione adotterebbe per saldare i conti sospesi con i fornitori. Siccome lo Stato non ha soldi, sostituisce l’impegno con una promessa di pagamento.

Questi titoli vengono poi messi in circolo e quindi vanno a costituire una moneta parallela. Come dice Giancarlo Giorgetti, sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio, parafrasando il gioco del Monopoli, «se dai fiducia alla moneta, questa acquista valore». Di fatto quindi l’Italia avrebbe due monete, una ufficiale, l’euro, l’altra clandestina. Ed è questo il motivo per il quale la Banca centrale europea la considera illegale.

Ma la proposta sostenuta da Salvini e da Di Maio ha una sua logica. Risolve le pendenze della pubblica amministrazione verso le imprese e soprattutto prepara le basi per una possibile uscita dall’euro. Con una moneta sostitutiva già presente sul mercato, il passo sarebbe più breve. Già l’ex ministro agli Affari europei Paolo Savona nel suo piano B prevedeva l’ipotesi di uno scenario di ultima istanza. Mario Draghi lascia ad ottobre la carica di presidente della Bce, ma dopo otto anni il differenziale di interesse resta alto, quasi a 300 punti, e il Paese è ancora lì, focolaio di un’infezione non debellata.

Cosa significa tutto questo agli occhi degli euroscettici? La risposta è univoca: inadeguatezza del sistema euro di farsi carico dei problemi italiani. Il che non vuol dire Italexit alla britannica. Cioè la decisione per referendum di abbandonare la moneta unica. Qui sarebbe il contrario, vorrebbe dire tirare la corda con la Commissione sulle trattative di bilancio e portare la situazione ad un punto di esasperazione tale da indurre gli altri a dire no. I vantaggi politici sarebbero evidenti: la colpa è di Bruxelles e il governo ha difeso gli interessi degli italiani. Nell’intervista a Tiscali del 2012, Paolo Savona ammette che in un caso o nell’altro vanno fatte drastiche riduzioni della spesa pubblica e alienati beni dello Stato per 400 miliardi di euro. Senso avrebbero interventi sulla malasanità e sui sussidi improduttivi. Il crimine organizzato che sottrae sovranità allo Stato e impedisce il rilancio economico del Sud andrebbe combattuto in modo sistemico come per il terrorismo. L’abusivismo edilizio che sfregia l’unico bene di cui il Paese dispone in modo sovrano, cioè la bellezza, andrebbe debellato per permettere lo sviluppo turistico. L’evasione fiscale rappresenta un quarto di quella dei 500 milioni di cittadini Ue. Solo per l’Iva sono 35 miliardi.

Ma alcuni politici sono arrivati alla conclusione che misure di questo genere non si possono imporre al Paese. È arrivata la rivoluzione tecnologica, i mercati si sono aperti, il mondo è cambiato. Nessuno osa dire che tutto questo ha un costo che prima o poi dovremo pagare. Si chiama modernizzazione. Le spese dei settori parassitari sono incompatibili con la competitività. L’euro è nato per questo, creare le condizioni per migliorare la produttività dell’economia e risanare un’amministrazione a carattere borbonico. È una faticaccia e grande è la delusione per chi pensava fosse una passeggiata. Così se la sono presa con la moneta unica. Ma dai sacrifici non si scappa. Si può solo scegliere la destinazione: o tra i Paesi che contano o fuori con la liretta al vento.

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