Il consenso agli insulti
La denuncia del Papa

È la moda del momento, ma anche un campanello che suona l’allarme sulla condizione della nostra società. L’insulto è diventato una bandiera da sventolare, viene esibito con orgoglio e, se colpisce nel segno, chi insulta gode. Nessuno si interroga più sulla banalità del male, come fece Hanna Arendt al tempo del processo ad Eichmann in Israele. Oggi l’insulto calamita consenso e nessuno ci fa più caso. Gli insulti sono diventati normali, il male una banalità. Così un aggettivo sbaraglia il sostantivo, cambia il corso delle cose e stravolge i concetti. C’è solo un Papa che denuncia la carica dirompente dell’insulto e di una cultura del rancore, che è stata sdoganata come saggezza (falsa) dall’individualismo pericoloso di chi si schiera ancor prima di capire lanciando contumelie a piene mani.

Ieri nella omelia della Messa di Pentecoste Francesco ha aggiunto un tassello importante alla sua predicazione ormai scomoda per quasi tutti. Ha detto che il Vangelo chiede di vivere al rovescio dei luoghi comuni. Cosa c’è di più comune in questo tempo che la produzione sublime e globalizzata dell’insulto come «prima risposta ad un’opinione che io non condivido?». Solo poche e perfette parole, ma Bergoglio ci ha ormai abituato a ficcare questioni importanti in brevi, decisive, cruciali ed evocative frasi. C’è una cultura dell’insulto molto diffusa. Anzi l’insulto è diventata la forma comunicativa per eccellenza.

Il luogo privilegiato è la rete dove il livore, il risentimento, la superficialità, l’offesa sono ormai l’unica semantica. Anche vittime degli insulti cadono nella trappola armandosi di insulti a loro volta. Oggi a mano disarmata non ci va in giro quasi più nessuno. Bergoglio ha un’altra idea: «Rendendo male per male passando da vittime a carnefici non si vive bene». Indica anche un metodo: restare «uomini spirituali». Chi è l’uomo spirituale? È quello che rende bene per male, oppone mitezza all’arroganza, alla cattiveria la bontà, il silenzio al frastuono e poi risponde «alle chiacchiere con la preghiera» e «al disfattismo col sorriso». Ognuno faccia il suo esame di coscienza. In giro c’è troppo nervosismo. È alimentato spesso ad arte e provoca reazioni dannose. Chi incrementa le paure sulla base di false percezioni spinge l’acceleratore della macchina che produce insulti. Ha già in mente il risultato: l’insulto cancella il dialogo e rafforza l’identità. Così ognuno può stare orgoglioso e sicuro nel proprio fortino assediato sentendosi dalla parte giusta, perché difende valori spesso solo presunti di giustizia, di convivenza, di tolleranza. A volte ci mette pure inopinatamente lo spirito del Vangelo e un simbolo religioso a giustificazione della propria azione, come se si trattasse di una sopravvivenza estrema da proteggere. La parola d’ordine della cultura dell’insulto fa parte della follia che già cento anni fa Benedetto XV denunciò nella lettera apostolica «Maximum illud», ricordata nel messaggio per la Giornata missionaria mondiale di Papa Francesco diffuso anch’esso ieri. Solo una coincidenza? Cento anni fa Benedetto XV, il Papa dell’«inutile strage», spiegava che la storia universale della salvezza non può essere richiamata a giustificazione delle chiusure nazionalistiche ed etnocentriche. E l’annuncio del Vangelo non poteva essere confuso con le strategie delle potenze coloniali e con i loro interessi economici e militari. Oggi c’è ancora chi crede all’identificazione del cristianesimo con l’Occidente e ritiene l’appartenenza la ragion d’essere risolutiva e fondamentale del buon cristiano. E storce il naso quando sente dire dal Papa che «la missione della Chiesa esige l’uscita da una appartenenza esclusivistica alla propria patria e alla propria etnia», perché altrimenti negherebbe relazioni e cancellerebbe l’empatia del cristianesimo per tutti i popoli. Anche Jorge Mario Bergoglio si è preso in questi anni la sua dose di insulti da dentro e fuori la Chiesa. Non ha mai risposto, se non facendo osservare che l’unico filo spinato per la Chiesa è quello che fu messo in testa come corona a Gesù, crocefisso, maledetto, espulso dalla società civile e religiosa, insultato e umiliato. Il modello di uomo spirituale.

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