Il governo antisistema
lontano dal territorio

Ciò che coagula e rafforza la coalizione Lega-M5S è il suo carattere, reale o percepito che sia, anti-sistemico. Tale tratto immunizza l’azione di Governo da molte critiche che le sono rivolte, screditate come tentativi dei vecchi centri di potere (forze partitiche o élites economiche che siano) di riprendere le leve di comando temporaneamente perdute. Tanto più ciò accade in assenza di reali processi di auto-riforma da parte di questi ultimi.

Meno sospetta ci parrebbe una critica che, per così dire, venisse dal basso e che additasse la mancanza di coinvolgimento dei cittadini che le cosiddette forze anti-sistemiche stanno perpetrando, in questo del tutto in continuità con quelle che le hanno precedute. Partecipazione civica e promozione delle autonomie non brillano nell’azione di Governo. La Lega punta – è vero – sulla riscoperta di un’idea di coesione popolare, ora non più declinata su basi regionali, ma – dopo la disinvolta torsione sovranista – nazionali; tale coesione però, più che promuovere partecipazione, favorisce un’identificazione orientata all’esclusione.

Si tratta cioè della riproposizione di una vecchia logica di divisione noi/loro in cui «loro» sono ora gli stranieri e in cui il «noi» vive di processi di identificazione e di delega al potere, anziché di un’autentica attivazione. La stessa attuazione del regionalismo differenziato, dopo i referendum veneto e lombardo, sembra quasi procedere nell’ombra, come se viaggiasse su un binario parallelo (anche dentro la Lega?).

Ma anche il M5S non brilla per impeto partecipativo. E questo stupisce maggiormente. La sua natura movimentistica poteva infatti aprire a un rilancio promettente di questa dimensione di coinvolgimento civico. E tuttavia questa si è tradotta in - e ridotta a - una partecipazione telematica, che non si incarna nella concretezza di un territorio. Anzi, proprio a livello locale il M5S appare significativamente senza forze e talora perfino in difetto di presenze radicate. Qualche sindaco (si pensi a Pizzarotti) è pure entrato in conflitto con i vertici del Movimento.

Complessivamente, si rischia di assistere a una riaffermazione della dimensione territoriale-comunitaria non accompagnata da una vera prospettiva partecipativa; o, viceversa, a una dimensione partecipativa, movimentistica, che però non si incarna nella concretezza di un territorio, restando appesa a una piattaforma eterea. La sconnessione tra partecipazione e territorio, di cui si intravedono i segni, appare discutibile in sé, oltre che di difficile coerenza con la Costituzione.

Il grande assente, duole segnalarlo ancora una volta, è la promozione delle autonomie territoriali e sociali e, conseguentemente, il rilancio di una partecipazione civica concreta. Chi assume davvero e non strumentalmente questi valori costituzionali? Quando la cultura partecipativa smetterà di essere argomento da opposizione e diventerà stile di governo? Non si dica che manca la partecipazione che anzi è vitale, anche se tende a mantenersi lontana dalla scena politica. Quasi ne fosse disgustata. Si paga, a caro prezzo, la mancanza colpevole di una legge sulla democraticità interna dei partiti, che avrebbe costretto le forze politiche a un rapporto strutturato con il territorio. E si paga un approccio alla democrazia come semplificante investitura di un capo con conseguente mortificazione del pluralismo sociale e delle autonomie. E così la partecipazione rischia di restare ostaggio di uno sterile dibattito tra sistemico e anti-sistemico in cui è sempre più difficile prendere parte.

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