Il Papa parla ai giovani con parole giovani
perché nulla più è scontato

Nel giorno in cui la Chiesa universale celebra la domenica delle Palme e in molte diocesi si ricorda la trentaquattresima giornata mondiale della gioventù, ci lasciamo provocare dall’Esortazione apostolica «Christus vivit» che nei giorni scorsi, proprio a riguardo delle giovani generazioni, Papa Francesco ci ha consegnato. Era attesa da tempo perché giunge a conclusione di un lungo percorso iniziato nel 2016 per il Sinodo dei Vescovi tenutosi lo scorso mese
di ottobre.

Ma anche perché molti credevano di poterci trovare le tanto desiderate «ricette» per risolvere, almeno sul fronte ecclesiale, la faticosa «questione giovanile». In realtà non è stato così. Anzi. Nello stile di Papa Francesco, l’Esortazione non chiude ma apre. Non dà indicazioni da manuale per lavorare con i giovani ma, come una pietra miliare nel cammino della Chiesa, consegna a tutti uno stile fatto di alcune attenzioni. Benché un po’ lungo, il testo è decisamente familiare: è una lettera nella quale il Papa da del «tu» ai giovani. In molti tratti, è la parola di una padre, diciamo pure di un nonno, che annuncia una grande verità: «Cristo è vivo. Dio ti ama». Lungi dal voler fare un semplice fervorino per ben pensanti, vuole ridire il cuore della fede cristiana. Il Papa si rivolge ai giovani ma parla in modo familiare anche ai vescovi, ai preti, agli educatori e agli adulti in genere. Per mostrare loro che con i giovani nessuno può tirarsi indietro perché «è l’intera comunità che evangelizza». Suggerisce parole e azioni coerenti con un volto adulto di Chiesa, capace di piangere «di fronte a questi drammi dei suoi figli giovani», materno e paterno allo stesso tempo.

Non si tratta di essere affettivi per includere tutti o normativi per non disperdere il patrimonio che abbiamo costruito in secoli di storia: per essere generativi, il Papa supera le sterili contrapposizioni e invoca un’adultità capace di «gesti, abbracci e aiuti concreti». Nell’Esortazione colpiscono anche le numerose immagini usate: Dio è «un innamorato che arriva a tatuarsi la persona amata sul palmo della mano», «Maria è una influencer di Dio», «la Chiesa è una canoa», giovani «non osservate la vita da un balcone e non confondete la felicità con un divano». Sono solo alcune ma ce ne sono tante altre. Che alla familiarità del tono della lettera, aggiungono la chiarezza. Quasi che il Papa abbia accettato la sfida di tornare a riesplicitare ciò che un tempo si poteva dare per scontato ma che oggi non lo è più. O, più ancora, di cambiare prospettiva perché il linguaggio cui siamo abituati, sta riducendo il cristianesimo a contenuti che non incrociano più la vita delle persone e che impediscono di comunicare, anche agli adulti, ciò che in realtà vogliamo essere: in nome del Vangelo, una Chiesa a servizio di questo mondo. Le immagini sono forse lontane dalle vette della teologia speculativa ma rimandano certamente a dei fondamentali che oggi potrebbero rendere più credibili i testimoni del Vangelo.

Da ultimo, il respiro: l’Esortazione fa tirare un sospiro di sollievo. Su tutti, balza all’occhio il tema della sessualità. Se in passato si è insistito molto sul «non fare questo» e «non fare quello», il Papa rilancia definendola «un dono di Dio». Non ci dice come custodire tale dono ma sicuramente esplicita in positivo di che cosa si tratta: un luogo da cui passa la vita delle persone, in particolare quella dei giovani, e che porta con se una domanda di evangelizzazione. Quanto servirà alla Chiesa per interiorizzare tutto questo? Non si sa. Ma dalla base il lavoro può continuare: le buone prassi si riconosceranno da sole.

*direttore Ufficio Pastorale Età Evolutiva

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