Il Pil al ribasso
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Se oggi la Commissione europea conferma le voci circolate ieri sul drastico, diremmo drammatico, peggioramento delle previsioni economiche italiane, portando allo 0,2% la crescita 2019 (nel 2017 era 1,6), un ministro dell’Economia dovrebbero porsi il problema di rivedere le basi stesse del bilancio appena varato. Ci aspettiamo invece litanie anti élite, colpevolizzazioni retroattive e inviti a sottomettere i numeri alla volontà popolare. Cioè a far finta di niente fino alle elezioni. Per capirsi, lo 0,2 va paragonato all’1,5 del balcone di Palazzo Chigi, o all’1 netto che è stato poi trangugiato nella convulsa fase parlamentare senza esame della legge. Ridurre di 5/7 volte il numero-base da cui derivano tutti gli altri, non è come ridurlo pur vistosamente dello 0,5 per ottenere il rinvio oneroso di sanzioni in cambio di 2 miliardi subito in pegno, della promessa di 18 miliardi (!) di privatizzazioni e clausole di salvaguardia Iva salite a circa 25 miliardi in due anni, un bel macigno anche se Di Maio fa spallucce.

Tutto questo fumo rischia ora di non bastare più, e forse proprio la Commissione sentirà il dovere essa stessa di riaprire la questione. Non a caso, il Fondo monetario, in parallelo, ha parlato, sempre ieri, di «rischio contagio» se l’economia italiana dovesse andar tanto male. Un governo può dichiararsi sovranista nonostante un debito monstre, anche se l’esempio tragico della Brexit dovrebbe insegnare qualcosa, ma l’effetto domino riguarda tutti, e noi italiani siamo nel mirino, innanzitutto di quelli che vogliono prendersi i miliardi europei della Tav che noi sdegnamo.

E intanto il Fmi indica il reddito di cittadinanza come un cattivo esempio, osservando che noi pretendiamo di agire sul parametro 100% della povertà mentre le buone pratiche in materia incidono al massimo sul 40-70%. Pena far saltare i conti per eccesso o creare delusioni per difetto. E che questo non sia il frutto malvagio dell’egoismo, lo dimostrano le analisi fatte da chi di povertà si intende, tipo Caritas e Alleanza contro la povertà, molto critici sull’equità di una legge presentata in uno show con tanto di ostensione della card, stile ampolla del Po.

Insomma, il 2019 si annuncia tutt’altro che «bellissimo» (ma chi glielo ha fatto dire a Conte?). Speriamo che oggi esca un numero migliore, ma è da settimane che tutti i centri di ricerca abbassano inesorabilmente il sogno dell’1% di crescita.

Eravamo arrivati ad abituarci all’idea della metà, ma siamo alla metà della metà. Prossimo traguardo, lo zero senza virgola. Lontana davvero l’epoca dei 14 trimestri consecutivi di crescita, interrotti bruscamente da due trimestri di recessione tecnica iniziati esattamente il giorno dell’insediamento del Governo. Non ci si può stupire di previsioni 2019 ancor peggiori, se tutti gli indici sono in calo: crollo della fiducia, del fatturato industriale e dei servizi, della capitalizzazione in Borsa (114 miliardi evaporati da maggio ad oggi), della domanda interna, e appunto della crescita. In aumento solo la diffidenza dei mercati e i rendimenti dei titoli di Stato e dello spread, ora un centinaio di punti sopra un anno fa.

Anche gli altri non stanno bene, ma l’Italia è l’unico Paese Ocse a registrare un calo dell’occupazione e l’Istat ha misurato che, dal varo del decreto dignità, ci sono 76 mila occupati in meno, 123 mila a tempo indeterminato in meno, 84 mila precari in più. Restano i problemi di sempre: tasse (flat tax, chi era costei?), spesa pubblica, debito (secondo l’Ue sale dello 0,5%), burocrazie e produttività ferma. Per fronteggiare tutto questo, si decide di chiudere i negozi nelle festività e si mette in campo una politica economica ossessionata solo dalle promesse elettorali. In un Paese con occupati attivi inferiori di 10 punti alla media, si incoraggia il lavoro nero e si anticipa l’uscita di quelli che ce l’hanno regolare, senza garantire il ricambio. Bisognerebbe tagliare la spesa ma quella corrente cresce, incrementare gli investimenti privati ma si riducono superammortamenti e industria 4.0, fare investimenti pubblici massicci ma devono superare il vaglio ipocrita dei costi-benefici. Il contrario di quel che serve contro la recessione.

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