il populismo ora
ha più colori politici

Martedì, nella piazza mediatica di Vespa, nel weekend, nelle piazze vere di Porta San Giovanni a Roma e della Leopolda a Firenze, i due Matteo hanno affidato il loro rilancio a un pubblico duello. Un modo come un altro per guadagnare visibilità sui media, fornire agli avversari una prova di forza, rinsaldare il vincolo di fedeltà dei propri seguaci. È un modo insolito comunque, per almeno tre motivi. I duelli si tengono di norma non nel pieno della legislatura ma in chiusura della campagna elettorale; tra i due principali competitor e non tra il capo dell’opposizione e un socio minoritario della maggioranza; tra due forze di eguale consistenza elettorale e non tra una dieci volte più grande dell’altra. L’anomalia è presto spiegata. I due Matteo hanno tutto da guadagnare a mettersi in vetrina. Inoltre il duello è un modo obliquo per oscurare e spiazzare il terzo incomodo per entrambi: il premier Conte.

In disaccordo su tutto, i leader di Lega e Italia viva non lo sono stati sulla procedura con cui convalidare scelte cruciali assunte in questi ultimi mesi: Salvini con l’uscita dal governo, Renzi con l’uscita dalla casa madre del Pd. In altri tempi, svolte tanto impegnative sarebbero costate ai partiti un sofferto travaglio interno, culminante in genere in un battesimo democratico dei loro vertici rappresentato dal congresso nazionale.

Altri tempi, i tempi dei partiti ideologici, di cui nessuno oggi ha più nostalgia. Le ideologie avevano infatti un grave difetto. Chiedevano ai loro seguaci una sorta di atto di fede nella bontà della causa. Sappiamo a quali aberrazioni, a quali tragedie hanno portato.

Si dimentica, però, che presentavano anche un pregio di cui oggi lamentiamo la mancanza. Fornivano ai fedeli un senso al loro impegno, una «verità» in cui credere, cui consacrarsi. Richiedevano sì un’onerosa ortodossia, ma impegnavano i vertici a rispettare il credo originario.

Senza ideologie, è sfumata l’identità, è svanito il senso di appartenenza, si è perso un orizzonte politico in cui riconoscersi. Liberi tutti: liberi gli elettori di cambiare voto, liberi i partiti di cambiare alleanze, liberi gli eletti di cambiare casacca.

La conseguenza è stata che i partiti sono diventati poco più che meet-up, luoghi d’incontro che non impegnano seriamente nessuno, a tal punto che una scissione non costa più, come un tempo, lacrime e sangue, ma solo il disagio di un trasloco.

È cambiata al contempo la vita interna dei partiti. Con le sezioni sono scomparsi i luoghi d’incontro e di dibattito dei militanti. Gli attuali circoli e club di partito sono riducibili a semplici comitati elettorali. Ai congressi sono subentrate poi le kermesse, le conventions, i raduni di piazza. L’unico rapporto che conta è quello diretto tra il leader e il suo popolo.

È il populismo a rivendicarlo e teorizzarlo. Ma anche i suoi avversari, che pure difendono la bontà della partecipazione alla vita del partito, hanno finito con l’adottare lo stesso rapporto privilegiato col leader. Il bagno di folla di Salvini di sabato a piazza San Giovanni è un modello da manuale della politica al tempo del sovranismo. La tre giorni della Leopolda ne è una versione spuria, più sofisticata e più partecipata (per quel che è possibile) nella stagione pur sempre della lontananza e del disincanto dei cittadini dai partiti.

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