Il sogno di Zingone
riparte per altre vie

Alla fine le ruspe, in corso Europa, sono spuntate per davvero. Dopo anni di incontri, confronti, proteste e rinvii, Zingonia si prepara alla svolta: è iniziato l’abbattimento dei sei edifici costruiti in mezzo al nulla negli anni Sessanta, in un’area destinata a diventare nuovo polo industriale e residenziale di prim’ordine e diventata rifugio di spacciatori e abusivi, un incubo di cemento e disagio sociale. La «Scampia lombarda», come è stato ribattezzato il complesso residenziale di 208 appartamenti, aveva tutti gli ingredienti per rappresentare il solito caso di immobilismo all’italiana: la piccola banlieue in salsa orobica lasciata in balìa dei burocrati, delle decisioni rimandate, della politica degli annunci...

Poteva finire così. Invece no. Oggi gli occhi di tutta Italia sono puntati su Zingonia perché la promessa è stata mantenuta. «Un caso da manuale» lo ha definito il ministro Matteo Salvini. Perché le ruspe questa volta non sono il simbolo di una visione politica poco incline al compromesso, ma arrivano, al contrario, al termine di un difficile percorso decisionale, nel quale tutti, dai Comuni alla Provincia, dalla Regione al governo, dalla prefettura alle forze dell’ordine, passando dall’Aler fino ai residenti che hanno accettato di spostarsi, hanno fatto la loro parte. Ed è legittimo l’orgoglio di chi in questa grande operazione ha messo il suo tassello, come i sindaci della zona, che ieri postavano commenti entusiasti su Facebook, con la coscienza di chi sa che si trova a compiere un passo nella storia. O gli operai dell’impresa Vitali incaricata dell’abbattimento, che hanno fatto a gara per partecipare al cantiere. Insomma, oggi è il giorno delle celebrazioni, ed è giusto così.

Ma la storia non finisce oggi. Mezzo secolo fa chi abitava in quel quadrilatero di strade viveva la vertigine di far parte di un’avanguardia, un esperimento sociale unico in Italia. L’obiettivo era creare una città di 50 mila abitanti, in cui le abitazioni fossero vicine ai luoghi di produzione, allo scopo di «combattere il pendolarismo, uno dei maggiori mali del secolo», scriveva il suo ideatore, l’imprenditore Renzo Zingone. Poi gli appartamenti si svuotarono, arrivarono gli abusivi, la criminalità di strada... il resto è cronaca. A Zingonia trovano rappresentazione gli ultimi decenni di storia italiana con le loro contraddizioni: la speculazione edilizia, il boom demografico e il suo declino, il boom dell’immigrazione e il suo declino, il proliferare della droga, la prostituzione di strada, l’emergenza abitativa, la convivenza tra le religioni...

A Zingonia si è affermato, anche, negli ultimi anni, uno stile di fare politica che confidiamo possa accompagnare i prossimi passi di questo delicatissimo passaggio: l’ascolto del territorio, il dialogo tra istituzioni, la capacità di affrontare problemi all’apparenza insolubili. La visione della complessità, soprattutto, perché non basta un colpo di ruspa a spazzar via un ghetto, ma servono progetti sociali (e a Zingonia ce ne sono di bellissimi) che possano cambiare il volto e la percezione di questo angolo di provincia.

Da un errore che sembrava incorreggibile, Zingonia ha realizzato un laboratorio sociale e politico che potrebbe essere esportato in altre parti d’Italia (lo stesso vicepremier ha citato il caso dell’hotel house di Porto Recanati dove applicare il «modello Zingonia»).

Ma siamo solo al giro di boa. La sfida continua: serve una soluzione all’altezza, qualcosa che incorpori lo slancio innovativo di Zingone, ma che allo stesso tempo abbia il coraggio di guardare al territorio con lucidità. Le premesse ci sono tutte e i lavori iniziati ieri sono il miglior viatico per una scelta lungimirante. La «città del futuro» ha ancora qualcosa da dire.

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