La buona politica
richiamata dal Papa

È il promemoria per le classi dirigenti. Sta tutto in una riga. «La buona politica è al servizio della pace». Lo detta Papa Francesco a cent’anni dalla fine della Prima guerra mondiale per invitare a fare esattamente l’opposto di quanto accadde cento anni fa quando una cattiva politica e il sonno della ragione delle classi dirigenti non seppe affrontare e sbaragliare l’ingiustizia e gli assetti che si portava dietro la fine dell’«inutile strage». Allora la guerra diventò normale e rimessa in campo in un baleno da politici malandrini come strumento per risolvere questioni, riequilibrare usurpazioni presunte, rivendicare diritti. Sappiamo come è finita tra nazionalismi dell’odio e genocidi. Poi solo la paura di un olocausto totale ha congelato la follia della guerra. Ma non l’ha eliminata. La politica ha badato solo che il congelatore della storia funzionasse e neppure troppo bene. Alla pace ci si è rassegnati, senza rimuovere le cause dei conflitti, senza prevenirne le involuzioni, senza favorirne le soluzioni.

La buona politica ha fallito nel suo compito e così animosità etniche e geopolitiche canaglia si sono scongelate fino a provocare quella che Bergoglio chiama la «Terza guerra mondiale a pezzi». Il richiamo alla politica nel giorno dedicato alla pace non è affatto la riaffermazione di una sorta di monopolio ecclesiastico, ma un appello dell’ultimo miglio, all’impegno di Stati, di popoli e di ciascuno di noi.

Francesco denuncia l’inerzia della comunità internazionale sulle guerre infinite che si combattono in Medio Oriente e in Africa e contemporaneamente bussa alla politica, unico strumento per affrontare le ingiustizie dell’economia globale, l’iniqua distribuzione di ricchezze, la rapina delle risorse. Solo la politica può scogliere il nodo delle interdipendenza tra conflitti, disastro ambientale ed emergenze umanitarie, migranti compresi, sempre più complesse. Invece accade esattamente l’opposto. Siamo troppo distratti e indaffarati a proteggerci blindando confini per renderci conto che la politica di questi anni ha imposto una cattiva moneta di scambio: dimenticanza in cambio di supposta sicurezza. Così è sufficiente che la pace sia assenza di guerra, mentre la sicurezza è diventata sinonimo di protezione della mia ricchezza. La buona politica ha perso la partita, presa in ostaggio dalle percezioni. Bergoglio non ha alcun timore a ripetere che è una vergogna sostenere il meccanismo che lancia allarme sociale, vede nelle vittime prodotte dal nostro sistema finanziario globale una minaccia davanti alla quale si deve sempre e comunque non perdere tempo, magari scegliendo scorciatoie, corsie preferenziali, aggirando procedure formali e di responsabilità proprie di democrazie compiute.

Il Papa ieri ha solo rafforzato il concetto svelandone i vizi: «Mostrarsi cattivi talvolta pare persino sintomo di fortezza. Ma è solo debolezza». È debole chi semplifica evitando di vedere l’intreccio tra conflitti, ambiente e povertà e la sua ripercussione sull’emergenza globale dell’immigrazione tra continenti e all’interno di essi. È debole chi costruisce muri e chiude frontiere, giustificandosi con il fatto che le guerre tradizionali siano in calo. La buona politica invece non teme la complessità, né la responsabilità di rendere meno opache le cause di ogni conflitto, senza pregiudicare al contempo la possibilità di assistere e accogliere le vittime. Per la buona politica non c’è «io» e «tu». Per la buona politica c’è solo «noi», dove tutti siamo, ha ricordato Bergoglio agli immemori anche con un tweet, «artigiani della pace».

© RIPRODUZIONE RISERVATA