La Cina rampante
Troppi allarmi

Curioso destino, quello dell’Italia. Paese giudicato decisivo quando si tratta di ipotizzare conseguenze negative, tipo: far cadere l’euro, distruggere la Ue, rovinare l’economia europea. E scartina assoluta per tutto il resto. Un copione che è andato in scena pari pari anche in occasione della visita di Xi Jinping, presidente di una Cina sempre più rampante, sbarcato a Roma con la cornice delle grandissime occasioni per firmare una serie di accordi che inseriranno l’Italia nel progetto della Nuova Via della Seta. È vero, l’Italia è il primo Paese del G7 e il primo tra i Paesi fondatori della Ue ad aderire (in Europa, finora, Grecia, Portogallo e Ungheria) ed è vero che la materia va maneggiata con cura.

La Cina è un colosso. In più, le enormi prospettive del suo mercato interno (per l’Italia, esportazioni in crescita del 22% nel 2017 rispetto all’anno prima) sono rese impervie da una politica protezionista che non farà certo eccezioni per noi e che è resa ancor più pesante dall’intreccio strettissimo che lega, a Pechino e dintorni, le aziende al Governo, l’economia alla strategia nazionale.

Detto questo, gli allarmi vagamente isterici che hanno accompagnato l’arrivo di Xi Jinping fanno, insieme, sorridere e disperare. Sorridere perché si è letto davvero di tutto, con grande spreco di una parola, «colonizzazione», che andrebbe pronunciata con un minimo di prudenza, soprattutto in un Paese che ospita centinaia di basi militari e bombe atomiche Usa. In più, si sono anche lette dotte analisi sui rischi della Nuova Via della Seta, con l’Italia paragonata a Paesi come Maldive e Bangladesh. Perché, di nuovo, siamo importanti quando facciamo danni e ininfluenti per tutto il resto.

Ma questo è il folklore. Il dramma viene quando si pensa che è della Cina che si sta parlando, nientemeno. E che se ne parla in termini che, a essere benevoli, sono da fumetto. La Cina ha probabilmente realizzato, negli ultimi quarant’anni, l’exploit economico più gigantesco che la storia ricordi. Un solo dato: nel 1981 la povertà assoluta (cioè, vivere con 1,90 dollari al giorno) toccava quasi il 90% della popolazione, nel 2014 lo 0%. E dopo decenni di progresso silenzioso, oggi, anzi da quando Xi Jinping è asceso alla presidenza nel 2013, ha deciso di far sentire la propria voce e il proprio peso sull’intera ribalta mondiale. La Via della Seta, come il Filo di Perle (la catena di basi navali dal Mar cinese meridionale al Medio Oriente) e molti altri progetti di cooperazione internazionale, sono l’espressione di questa proiezione globale.

Ora, avere a che fare con la Cina sarà pure rischioso. Ma si può evitarlo? La risposta è ovviamente no. E bene lo sanno due marpioni come Angela Merkel e Emmanuel Macon, abituati a predicare bene e razzolare come possono. Da Roma, Xi Jinping raggiungerà Parigi per incontrare i Bibì e Bibò della politica europea, accompagnati da Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea sull’orlo della pensione. I due, oggi, parlano come se volessero offrire il petto alla baionette commerciali cinesi, pontificano di golden share per evitare la conquista delle industrie strategiche, di dazi e tariffe doganali. Oggi. Perché ieri, invece, non si sono preoccupati più di tanto. La Germania ha un interscambio commerciale con la Cina da 172 miliardi l’anno e proprio la Cina è il primo partner commerciale (seconda la Francia, solo terzi gli Usa) del Paese della signora Merkel. Macron, invece, nel gennaio 2018 è andato a Pechino a firmare un sacco di accordi, anche in settori strategici come la difesa, l’industria aeronautica e aerospaziale. Quello che Francia e Germania cercano, soprattutto dopo l’accordo firmato ad Aquisgrana, è uno scudo Ue che protegga i loro affari, non altro.

Il problema che la venuta di Xi Jinping pone a tutta l’Europa, e quindi ovviamente anche all’Italia, non è commerciale ma politico. Pur nel rispetto delle alleanze tradizionali e dei patti sottoscritti, siamo pronti a riconoscere che il mondo non è (quasi) più unipolare? Che non tutto si esaurisce nel blocco delle democrazie liberali guidate dagli Usa? Oppure la fedeltà a Washington, che resta tuttora un tratto qualificante della nostra visione del mondo, ci obbliga anche a chiudere gli occhi di fronte alla realtà? È complicato, ma non più di così.

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