La domanda di giustizia
non finisca in barbarie

Le gravi e inaccettabili minacce al presidente di Confindustria di Bergamo Stefano Scaglia - che seguono di pochi giorni le analoghe intimidazioni nei confronti del vertice di Confindustria, Marco Bonometti - cercano di sollevare un inutile polverone di fronte alla legittima ricerca di verità e giustizia intorno all’epidemia che ha colpito il nostro territorio. Gettano fango sulla nostra gente, su quel vuoto che è dentro di noi, sull’altissimo prezzo in termini di vite umane pagato da questa provincia sul fronte del Covid-19. È davvero paradossale il contenuto di quella busta recapitata al nostro giornale. Atti come questo non fanno che fomentare un clima di odio, aggiungendo sofferenze ad altre sofferenze.

Se lo abbiamo rivelato, non è solo per il nostro dovere di informazione, ma anche perché i nostri lettori sanno bene come giudicare tentativi maldestri come questi. Davvero qualcuno pretende di tornare a un’atmosfera da «anni di piombo»? Davvero qualcuno crede che a Bergamo i veleni, i proiettili – quelli veri e quelli di carta – , l’inammissibile violenza verbale, con tutto il suo anacronistico armamentario che sa di muffa ideologica, riescano ad oscurare un confronto civile, pacato ma fermo, (come nel carattere e nella tempra della nostra gente) basato sul suo tessuto democratico e sulla forza delle istituzioni, delle sue rappresentanze sociali?

Abbiamo bisogno di svelenire quest’atmosfera insopportabile, con tutto il suo corredo di luoghi comuni mefitici. Non è sobillando l’opinione pubblica che si renderà onore alla memoria delle nostre vittime. Lo ha affermato con grande chiarezza il Capo dello Stato Sergio Mattarella poco prima della Messa di Requiem davanti al Cimitero Monumentale. Bergamo, «cuore della Repubblica», come l’ha definita Mattarella, non dimenticherà, non potrà mai dimenticare. Ma «ricordare significa riflettere, seriamente, con rigorosa precisione, su ciò che non ha funzionato, sulle carenze di sistema, sugli errori da evitare di ripetere».

Il Presidente ha poi insistito sul significato civile di memoria, che non è soltanto un modo per strappare all’oblio avvenimenti della nostra storia e rendere omaggio a persone che non hanno avuto nemmeno modo di avere un funerale nei giorni più funesti del nostro passato recente. «Fare memoria significa anzitutto ricordare i nostri morti; ma significa anche assumere piena consapevolezza di quel che è accaduto. Senza cedere alla tentazione illusoria di mettere tra parentesi questi mesi drammatici per riprendere come prima». Fare memoria significa allo stesso modo «rammentare il valore di quanto di positivo si è manifestato. La straordinaria disponibilità e umanità di medici, infermieri, personale sanitario, pubblici amministratori, donne e uomini della protezione civile, militari, forze dell’ordine, volontari. Vanno ringraziati: oggi e in futuro».

Per questo l’intimidazione al presidente di Confindustria non è solo un’offesa alla sua persona, primo bersaglio di quell’atto incivile, è anche e soprattutto un oltraggio verso chi ha combattuto quel virus, uno sfregio a quella rete di solidarietà che ha permesso di limitare gli effetti della pandemia. È il ricordo – un ricordo carico di responsabilità – a creare le condizioni della rinascita, non certo la barbarie giustizialista che affonda su discorsi da bar. Un ricordo che non può essere separato dalla volontà di giustizia.

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