La Germania si ritrova
coi fantasmi del passato

Con un fotogramma a trent’anni dalla caduta del muro di Berlino la situazione in Germania si può riassumere così: il ministro degli esteri Heiko Maas scrive un articolo pubblicato per 26 testate giornalistiche europee e non cita una sola volta gli Stati Uniti. Tutti i ringraziamenti vanno a Michail Gorbatschow. In Turingia, nell’est del Paese, il partito nazionalista Afd guidato da un politico a chiara vocazione razzista il 27 di ottobre 2019 raccoglie il 23,4 % dei consensi. Il primo partito con il 31% è la Linke, l’erede della vecchia Sed ai tempi della Germania comunista.

La Cdu si declassa al 21,8% la Spd va alla deriva dell’8,2%. La dirigenza cristiano-democratica del Land ha già detto che parlare e possibilmente governare con i nazionalpopulisti di Alternative für Deutschland non è peccato. Volkswagen, Daimler Mercedes, Bmw americanizzano la filiera dei fornitori. Il 75% dei componenti delle loro auto verranno quindi dalla zona di libero scambio nordamericana. Anche motori e cambi dovranno quindi essere prodotti dall’altra parte dell’Atlantico. America first ha raggiunto le rive del Reno. Per amore dell’auto Angela Merkel è andata nei suoi 14 anni alla cancelleria 12 volte a Pechino.

In questi giorni è atteso a Berlino il segretario di Stato americano Mike Pompeo. Chiede conto degli accordi su 5G, la rete di comunicazione mobile ad alta velocità, stipulati da Angela Merkel con i cinesi di Huawei. Se i tedeschi non danno garanzie gli americani non forniranno in futuro dati sensibili. Nel dibattito politico tedesco si è nel frattempo inserito il concetto di patriottismo. Philipp Amthor giovane politico della Cdu tocca un nervo scoperto. Appartenenza all’Unione europea e identità nazionale. È il tema del momento ma la Germania non è più la nazione che voleva essere e si ritrova con i fantasmi del passato. Proprio quella parte che si sarebbe dovuta occidentalizzare sembra dare ragione ai dubbi a suo tempo nutriti dal primo ministro britannico Margaret Thatcher e dal presidente francese François Mitterrand. Un Paese in stato confusionale si ritrova nel guado di un passaggio storico. Ha pensato di emanciparsi dalla dipendenza Usa ammiccando alla Cina ma adesso deve cedere sia agli uni che agli altri. Ha fatto male i conti.

La Germania conta nel mondo solo se ha dietro di sé l’Europa. Le critiche impietose seguite all’uscita di scena di Mario Draghi dalla Bce esprimono il risentimento di chi pensava di poter governare l’unica istituzione sovranazionale europea alla tedesca. Come ebbe a dire a suo tempo l’ex presidente della Banca Centrale Europea l’euro è la moneta di 19 Stati non della sola Germania. Ma a Berlino han sempre pensato che chi vince prende il banco o al massimo lo condivide con il secondo, ovvero con la Francia. Hanno dimenticato le parole di George C. Marshall, il generale americano del piano di aiuti alla Germania e all’ Italia nel 1947: la nostra politica non è diretta contro qualsivoglia Stato o dottrina ma contro la fame, la miseria, la disperazione e il caos. La crisi seguita alla globalizzazione selvaggia ha prodotto in molti Paesi europei fallimenti di imprese, disoccupazione e impoverimento. Dietro ai numeri impietosi vi erano famiglie, e volti umani che sono stati dimenticati. Il moralismo dei primi della classe ha fatto chiudere gli occhi sui costi sociali della crisi nei Paesi soprattutto del Sud Europa e ha creato disaffezione verso un Europa votata agli interessi industriali dei potenti. Helmut Kohl ha voluto l’euro come prima tappa verso l’integrazione politica del continente. Angela Merkel ha fatto della Germania una nazione votata all’interesse nazionale tedesco. Adesso ne raccoglie i cocci.

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