La giustizia ingiusta
I numeri del dolore

La giustizia è oggetto del dibattito pubblico quando tratta di persone note o di intrecci fra politica e malaffare. Ma c’è anche e soprattutto la giustizia che chiama in causa persone senza blasone. Il presidente del Tribunale di Torino, Massimo Terzi, all’inaugurazione dell’anno giudiziario ha detto che un imputato ogni tre viene assolto nel giudizio di primo grado di fronte al tribunale collegiale e uno su due di fronte al giudice monocratico. Uno studio ha aggiunto le assoluzioni in appello e in Cassazione e ha proiettato questi dati su scala nazionale per un decennio: si tocca la cifra incredibile di un milione e mezzo di indagati, arrestati, intercettati e interrogati innocenti: attendono in media quattro anni per sottrarsi all’incubo di un’inchiesta penale, che stravolge la vita delle persone. C’è chi perde lavoro e salute in una situazione angosciante che coinvolge anche i familiari.

Solleva indignazione il fatto che i processi prescritti siano il 9% del totale, ma lascia indifferenti che il 50% siano indebiti e ingiusti. I casi di singole persone sono tanti, ma alcune inchieste riguardano decine di presunti colpevoli. Qualche anno fa l’inchiesta romana «Affittopoli» portò in carcere e ai domiciliari una sessantina tra professionisti e amministratori. Dopo un mese di detenzione il Tribunale del riesame ne liberò i nove decimi sostenendo la totale infondatezza delle accuse. Presso la Corte d’appello di Milano - ricordava «il Foglio» qualche giorno fa - giacciono 121 mila fascicoli di indagini preliminari (ogni fascicolo può coinvolgere una o più persone) aperti per oltre due anni: secondo la riforma del processo penale del governo Gentiloni, dovrebbero essere avocati alla Procura generale che però non ha i mezzi per surrogare i magistrati inadempienti. Da ciò si evince che non è colpa della prescrizione se tanti processi non vengono celebrati ma, come riconosce la presidente della Corte d’appello di Milano, Marina Travassi, «i processi non si fanno per innumerevoli ragioni e quindi si prescrivono».

Al fondo però c’è un’idea, diffusa dal populismo penale di certi media e di certi magistrati: il processo è una circostanza normale della democrazia, non invece eccezionale. Non a caso due anni fa il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone inviò ai suoi sottoposti una circolare ammonendoli perché l’iscrizione di una persona nel registro degli indagati non fosse un atto automatico in presenza di una denuncia né dovuto, ma presupponesse «l’accertamento di specifici elementi indizianti». Di recente invece il presidente del Tribunale di Torino ha proposto l’abolizione dell’udienza preliminare e l’obbligo per i pm «di esercitare l’azione penale solo in presenza di fonti di prova idonee a convincere il giudice della colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio». Compito del pm è quello di cercare le prove a carico dell’accusato ma anche a discarico: nella prassi però prevale generalmente la prima responsabilità sulla seconda. Invece di correggere queste storture, il governo gialloverde ha invece approvato, con effetto dal 2020, lo stop sine die della prescrizione dopo il giudizio di primo grado.

Gli errori giudiziari non vengono pagati solo dalle persone ingiustamente accusate, ma anche dallo Stato. Nel 2017 nei distretti di Catanzaro e Roma sono stati liquidati 8 milioni e 900 mila euro alle vittime di detenzione ingiusta. A fine gennaio, Giuseppe Gullotta, incarcerato per 22 anni con l’accusa ingiusta di essere l’omicida di due carabinieri in Sicilia, ha chiesto un risarcimento di 66 milioni. A fine novembre scorso ha tenuto banco invece per giorni l’inchiesta della Procura di Catania sulla nave «Aquarius» di Medici senza frontiere: l’accusa del procuratore Carmelo Zuccaro (lo stesso dei presunti collegamenti tra navi delle ong per il salvataggio dei migranti e trafficanti di uomini, mai dimostrati) era di aver sistematicamente condiviso, pianificato ed eseguito un progetto illegale di smaltimento di un ingente quantitativo di rifiuti pericolosi a rischio infettivo (peraltro citando malattie che non si trasmettono col solo tatto degli indumenti). Il Tribunale del riesame di Catania ha stabilito che non ci fu nessun traffico illecito.

Il dibattito pubblico andrebbe orientato altrove, su una riforma della giustizia che tuteli, anche mediaticamente, le persone accusate di reati non compiuti, invece di sprecare parole e tempo su inchieste zoppe dall’origine. Quelle andrebbero archiviate in tempi brevi.

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