La guerra a suon di dazi è più seria di quanto sembri e porta dritti alla recessione

Le guerre moderne, ai giorni nostri, si fanno coi dazi. Di sicuro è molto meglio che con i cannoni e le bombe nucleari, ma non per questo la situazione è così pacifica come sembra a prima vista. Pare che lo scontro a suon di tariffe che gli Usa e la Cina stanno combattendo porterà a una sanguinosa recessione mondiale, foriera, come tutte le recessioni, di miseria e dolori. Le Borse tremano, perchè i mercati sono nemici delle tariffe doganali e a favore del libero scambio. E soprattutto hanno capito che la faccenda è maledettamente seria.

L’ultimo atto è del regime cinese, forse infastidito per le dichiarazioni della Casa Bianca contro la repressione a Hong Kong o, forse speranzoso che alle prossime elezioni ci sarà un avvicendamento alla presidenza. Nel secondo caso è una vana speranza, poiché persino i democratici da quelle parti hanno assunto posizioni protezionistiche. Pechino ha imposto comunque una stangata su 75 miliardi di dollari per un totale di 5.078 prodotti made in Usa.

La risposta di Donald Trump, dal vertice di Biarritz, non si è fatta attendere: il presidente ha risposto con forza annunciando nuove tariffe fino al 30 per cento per alcuni prodotti made in Cina. È saltata così la tregua di primavera, che avrebbe dovuto giovare a entrambe le superpotenze economiche. Trump, al solito, non ha avuto pietà per nessuno, arrivando a mettere sullo stesso piano i «nemici» Xi Jinping e il governatore della Federal Reserve, la «colomba» Powell, contrario a un eccessivo protezionismo in nome del libero mercato.

Trump ha quindi ribadito il proprio distacco da Powell aggiungendo che se il numero uno della banca centrale Usa decidesse di lasciare la sua poltrona, lui non glielo impedirebbe. Poco dopo è arrivato, sempre via tweet, l’annuncio di Trump dei nuovi dazi: come detto dal 1° ottobre le tariffe già presenti su 250 miliardi di dollari di prodotti cinesi saliranno dal 25 al 30 per cento. Sui restanti 300 miliardi di dollari di prodotti dalla Cina che saranno tassati dall’1 settembre, i dazi saranno al 15 per cento e non più al 10 come finora.

Ma «Trump il doganiere» è scatenato. Come se non bastasse, infatti, ci sono le misure al 25 per cento sull’import di auto e al 5 per cento sulle componenti di auto. Saranno efficaci dal 15 dicembre, dopo la sospensione dello scorso 1° aprile che era stata stabilita per favorire il dialogo (vano). Insomma, una vera e propria escalation che sta rendendo cara la vita e provocando i prodromi di una bella recessione mondiale. Ne potrebbe fare le spese anche l’Europa, con cui Trump non è certo tenero. Al G7 di Biarritz il presidente francese Macron, che faceva gli onori di casa, è riuscito ad ammansire il tycoon americano con un pranzo a sorpresa all’Hotel du Palais, instaurando la buona pratica della «diplomazia personale» e portandolo a più miti consigli sui dazi sul vino. Ma sul Vecchio Continente incombe una mega stangata sulle auto che potrebbe danneggiare (e non poco) anche l’Italia. Una guerra commerciale Usa-Europa sembra essere al momento scongiurata. Ma non sia sa mai. Anche perché Trump nei prossimi mesi potrebbe avere dalla sua parte l’alleato inglese Boris Johnson, alle prese con la Brexit e smanioso di trovare accordi commerciali per compensare l’abbandono dell’Ue.

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