La Lega vola nei sondaggi
E Silvio tenta l’azzardo

Dev’essere stato un sabato difficile, quello di ieri, per Silvio Berlusconi. Dalla lettura del sondaggio Ipsos di Nando Pagnoncelli, pubblicato dal «Corriere», ha appreso che Forza Italia, nelle intenzioni di voto, continua a scendere (7,1%) e che la Lega schizza addirittura al 35,8%, mentre i 5 Stelle cadono al 25,4%. La ridiscesa in campo per le Europee del socio fondatore del centrodestra è stata annunciata a 25 anni esatti da quel 18 gennaio 1994 che ne ha segnato l’esordio. Altri tempi. Allora, nelle parole di Berlusconi, c’era da battere i comunisti, oggi ci sono i grillini. Il signore di Arcore si ripropone come l’uomo del fare contro gli incompetenti, tuttavia il ciclo berlusconiano (Lega bossiana compresa), interrotto nel 2011 con l’Italia al collasso, non conferma questa autoinvestitura. Tornano l’eco della «rivoluzione liberale» e l’idea di intercettare i voti del cielo, visto che il Cavaliere si richiama all’appello di don Luigi Sturzo di cent’anni fa ai «liberi e forti»: un’appropriazione indebita, al pari di quella tentata negli anni scorsi con la figura di Alcide De Gasperi.

Il bersaglio in apparenza sono i grillini, ma Berlusconi parla a nuora perché suocera intenda: l’avversario, per Forza Italia ai minimi termini e a rischio annessione, è Matteo Salvini. Può essere certo un’opportunità, sia pure fuori tempo massimo, per il mondo dei moderati, tuttavia non si vedono in giro le fanfare per un’operazione vintage, coraggiosa sul piano personale ma politicamente debole. L’uomo (82 anni e in procinto di diventare nonno per la dodicesima volta) ha mille vite, sa vendere cara la pelle e, per certi aspetti, la sua vicenda oggi replicata è un caso senza uguali nelle democrazie occidentali. Se ha fatto una scelta da irriducibile combattente per uscire dall’angolo, deve averla ponderata e giustificata con i suoi sondaggi.

Un cambio di passo che per qualcuno ispira pure tenerezza. Persino «Repubblica», che lo ha sempre marcato stretto senza perdonargli alcunché, gli ha reso una specie di onore delle armi quando ha scritto che, grazie al presente poco civile, alla fine può addirittura apparire migliore di quello che era: un governante cortese e fattosi moderato, un europeista per quanto dell’ultima ora. Il gioco dei paragoni ci può stare e, del resto, ne trae giovamento anche l’appeal del premier Giuseppe Conte, rivalutato in quanto mette in «bella» quel che dicono in stile pop Salvini e Di Maio. Mentre i progressisti cercano d’inventarsi qualcosa di nuovo con il progetto di una lista unitaria europeista (ma il voto proporzionale non incoraggia le fusioni), nella ridotta di quello che era il centrodestra a trazione berlusconiana si assiste al riemergere dell’eterno ritorno del sempre uguale. Forza Italia paga l’immobilismo della nostalgia, di essere rimasta ferma al tempo che fu, con le parole d’ordine di un passato che non passa, con una classe dirigente dominata dal mattatore di sempre. E Berlusconi sconta il fatto di aver radicalizzato l’elettorato da ceto medio, che gli ritorna indietro come un boomerang: Salvini non viene dal nulla. Berlusconi, dunque, non s’arrende, reagisce all’anagrafe e al destino avverso che lo vorrebbe sul viale del tramonto, abbandonando la non belligeranza nei confronti del leader leghista, intestandosi come membro di un «partito del Pil». Con il voto di maggio può succedere di tutto, meglio giocarsela, se non altro per limitare i danni e resistere sulla linea del Piave dopo Caporetto. Rispetto alle elezioni di un anno fa, c’è il Nord che si sente tradito e in cerca di rappresentanza: chiedeva meno tasse e si ritrova con il reddito di cittadinanza.

Una finestra sull’ignoto nel cortile di casa per il vecchio leone, sul fianco lasciato scoperto da Salvini: un’occasione insieme imperdibile e disperata o un azzardo da logoramento?

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