La legge anti odio
da sola non basta

La vita di Liliana Segre, ebrea italiana, 89 anni ben portati, è un impasto di grandi tragedie e coraggio, di sofferenze e ferite aperte ma di amore per la vita. Non aveva ancora un anno quando perse la madre per una malattia. Ne aveva 13 quando, dopo essere stata respinta dalla Svizzera dove avrebbe voluto chiedere asilo politico, fu internata nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau con il papà e i nonni materni.

I parenti furono uccisi dai nazisti. Solo lei sopravvisse: alla fine di gennaio del 1945, dopo l’evacuazione del campo, affrontò la «marcia della morte» (così chiamata perché molti ex deportati, senza forze e ridotti a scheletro e pelle, perirono durante il cammino) verso la Germania. Venne liberata dall’Armata Rossa il primo maggio 1945 dal campo di Malchow. Dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni che furono internati ad Auschwitz, fu tra i 25 sopravvissuti.

Venne cresciuta a Milano, sua città natale, dai nonni paterni e da zii. Questa donna e la sua storia dolorosa ogni giorno sono destinatari via social e internet di 200 messaggi di odio e di insulti, minacce di morte, attacchi politici e religiosi, maldicenze. Sono scritti da antisemiti protetti dall’anonimato o arrivano da blog e siti di estrema destra. Il conteggio è stato tenuto dall’Osservatorio antisemitismo, che ha lanciato l’allarme. Fosse anche solo un messaggio al giorno, sarebbe troppo. Già l’anno scorso la procura di Milano aveva aperto un’inchiesta contro ignoti per molestie e minacce via social. E poi l’enormità che impone a Liliana Segre di vivere sotto protezione, per prevenire il rischio di aggressioni. Lei, nominata senatrice a vita il 19 gennaio 2018 dal presidente Mattarella, ha commentato questi fatti gravissimi con lo stile, la mitezza e il tocco d’ironia che la contraddistinguono: «Avendolo conosciuto nella mia persona, io non rivolgo l’odio agli odiatori. Mi chiedo perché tanta perdita di tempo in quel brevissimo atto che è la nostra vita. Perdere tempo a scrivere a una novantenne per augurarle la morte… Tanto c’è già la natura che ci pensa».

La senatrice si è fatta però portavoce di una proposta per l’approvazione di una legge contro qualunque forma di intolleranza e violenza anche solo verbale, oltre che dell’istituzione di una commissione parlamentare di controllo contro razzismo, antisemitismo e «hate speech» (incitamento all’odio). Ieri la proposta è approdata in Senato per il voto.

Del resto ci sono altri dati di cui tenere conto. Dal 2016 a oggi le denunce per violenze a sfondo razzista sono triplicate (da 27 a 126 nel 2018, 628 se si considerano anche casi di discriminazione razzista, dalle offese ad altri danni). Secondo l’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) le denunce alle forze dell’ordine per crimini d’odio (per la quasi totalità razziale) sono state 1.048 nel 2017, la metà nel 2015. L’82,9% delle segnalazioni all’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali quest’anno sono motivate da discriminazioni etnico-religiose (nel 2016 erano il 69,4%).

Oltre a quella della senatrice, sono state presentate altre due proposte sulla finalità della commissione. Una della Lega, secondo la quale è «difficile attribuire al fenomeno del razzismo una dimensione di emergenza nazionale… il trend registrato in Italia risulta sovrapponibile con la grande ondata di sbarchi e il fenomeno di immigrazione incontrollata che ha coinvolto il nostro Paese dal 2013». La commissione dovrebbe affrontare «anche i temi delle tensioni sociali e l’accessibilità agli strumenti di welfare di base, le politiche per la gestione dei flussi migratori rigorosa, forme di controllo all’interno dei centri di culto islamici, spesso illegali nei quali si è svolta propaganda antisemitica...La commissione dovrà vigilare sul rispetto delle minoranze senza che da ciò ne derivi una negazione della nostra identità». Il trend non è per nulla sovrapponibile alla presunta invasione migratoria: i casi di razzismo e violenze sono aumentati negli ultimi tre anni, in coincidenza con il crollo degli sbarchi (-78% con ministro dell’Interno Marco Minniti, del Pd, dal 2016 al 2018, e -90% con Matteo Salvini nello stesso ruolo). Inoltre tra gli odiatori da tastiera ci sono anche militanti leghisti dichiarati, con parole d’odio verso Liliana Segre per la sua posizione sull’immigrazione, che non è ideologicamente aperturista ma semplicemente umana. Quanto ai ceti sociali dei 200 autori di «hate speech» quotidiani contro la senatrice, c’è di tutto: perfino un docente universitario di Storia contemporanea.

La proposta di commissione di Forza Italia invita invece a «non confondere l’incitamento all’odio con la convinzione e la libertà delle idee di ciascuno». Un distinguo un po’ capzioso: ad esempio negare l’esistenza della Shoah non è incitamento all’odio, ma un’idiozia negazionista inaccettabile. Tra i famigerati 200 messaggi questa affermazione si ripete. Evitiamo di riscrivere i più violenti per non dare voce agli imbecilli. Se poi giornali osassero pubblicare articoli che contengono simili orrori ed insulti, prenderebbero denunce e condanne. Come mai non accade lo stesso agli antisemiti del web e a chi dà spazio ai loro veleni? Contro questi fenomeni inquietanti, leggi e commissioni non bastano. Liliana Segre ne è consapevole quando dice che gli odiatori «sono persone che vanno curate». Ma non hanno la consapevolezza di avere problemi e i social hanno concesso loro una vetrina che li fa sentire importanti. L’odio non è una novità ma lo è questa esibizione disinibita da parte di chi non necessariamente passerebbe «alle mani», nascondendosi dietro a uno schermo. A forza di relativizzare e sdoganare tutto, il discorso pubblico (e politico) ha liberato parole e discorsi prima impronunciabili. Al fondo c’è un’incapacità di distinguere il bene dal male e un’indifferenza verso il bene di tutti. Questa è la patologia da curare.

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