La nostra «cattedrale»
nel cuore di tutti

C’è un risvolto nella vicenda che ha tenuto lunedì sera tutto il mondo incollato agli schermi che ci dovrebbe far riflettere. È un sentimento imprevisto ma diffuso che ha contagiato tutti e che si riassume in quell’aggettivo incluso nella dedicazione della Cattedrale di Parigi: «Notre», cioè «nostra». «Notre Drame» ha addirittura titolato ieri, con un gioco di parole, un giornale certamente non incline a simpatie cattoliche come Libération, espressione della «gauche caviar» francese. È un dramma «nostro».

L’incendio della cattedrale parigina ha fatto scattare in tanti – ma verrebbe da dire in quasi tutti – il sentimento istintivo di sentire come proprio quel luogo, quell’edificio che pur è espressione di una confessione religiosa oggi sempre più marginalizzata, in particolare nei nostri Paesi benestanti. Nessuno ha avuto esitazioni nel sentire come «sua» (e quindi collettivamente come «nostra») quella cattedrale il cui destino per una notte ha tenuto tutti con il fiato sospeso.

La notte di Parigi ha fatto inaspettatamente riscoprire un qualcosa dunque di cui non avevamo come percezione, neppure come osservatori. Paradossalmente, mentre un po’ scriteriatamente qualcuno vedeva nell’incendio un attacco alla cristianità, avveniva un fenomeno esattamente contrario: un riconoscersi istintivamente dentro una storia dimenticata e tante volte anche rinnegata. Un percepire quella storia come una cosa buona, un bene che sarebbe disperante vedersi strappato dalle mani.

Questo suggerisce un’altra riflessione. Quel «nostra» infatti sintetizza probabilmente come nessun’altra parola, la modalità con cui il cattolicesimo si propone e si comunica al mondo: è un abbraccio, un amore che non si tira mai indietro. Non è la prima volta che in questi tempi recenti ci è data l’occasione di riflettere su quello stesso aggettivo. Poche settimane fa lo aveva fatto Papa Francesco, nel corso della sua Catechesi del mercoledì dedicata appunto al Padre «nostro» (Catechesi che sta ancora continuando). Il Papa aveva sottolineato quanto quel «nostro» abbia una portata inclusiva; perché il Padre si palesi come «nostro» basta solo riconoscerlo, chiamarlo, senza che da parte sua ci si chieda precondizione. Aveva continuato infatti Francesco: «Può darsi che anche a noi capiti di camminare su sentieri lontani da Dio, come è successo al figlio prodigo; oppure di precipitare in una solitudine che ci fa sentire abbandonati nel mondo; o, ancora, di sbagliare ed essere paralizzati da un senso di colpa». Nonostante questa lontananza, così frequentemente sperimentata dall’uomo di questo tempo, quel «nostro» non viene mai meno. È un’ipotesi che rimane sempre aperta, che è sempre praticabile.

C’è un’altra cosa che il Papa aggiunge e che si ricollega a quella reazione collettiva scattata davanti alle immagini della cattedrale in fiamme. «Dio è non solo un padre», ha detto Francesco nel corso di una delle Catechesi, «è come una madre che non smette mai di amare la sua creatura. D’altra parte, c’è una “gestazione” che dura per sempre, ben oltre i nove mesi di quella fisica; è una gestazione che genera un circuito infinito d’amore». La cattedrale non solo è dedicata a «notre Dame», ma è lei stessa madre: nel senso che non è un simbolo, come tante volte si è stupidamente tentato di ridurla, ma è luogo, casa, grembo. È sinonimo di accoglienza per tutti, come ben abbiamo imparato leggendo le meravigliose pagine di Victor Hugo, quando ci racconta di Quasimodo che porta in salvo Esmeralda facendola entrare nella cattedrale, luogo dove chiunque era protetto dall’impunità. A volte si prendono sottogamba piccoli dettagli che non fanno notizia: ma l’adesione a quel «nostra» è indizio di un’affezione che nessuno ha potuto cancellare dal cuore delle persone. Facciamone tesoro, per noi e per il mondo.

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