La «stoffa» politica
non si può acquistare

«Dobbiamo evitare di renderci corresponsabili della catastrofe incombente e contribuire a imprimere una diversa direzione alla storia», ha dichiarato in un’intervista Ilhain Omar, ex rifugiata africana, eletta al Congresso degli Stati Uniti a soli 37 anni. La sua impegnativa affermazione può essere considerata un manifesto dell’integrazione possibile e del ricambio indispensabile di classi dirigenti in un mondo che cambia in modo vertiginoso. La neodeputata si riferisce agli Stati Uniti, ma le sue parole travalicano i confini di quel Paese, perché riguardano i cittadini dell’intero globo.

Crisi economica, processi migratori, occupazione precaria, incertezza sul futuro delle nuove generazioni, insicurezza, sono questioni che affliggono, in misura diversa, quasi tutte le democrazie. In Europa l’insieme di tali fenomeni ha contribuito all’accelerazione dello scontento e ha prodotto la disillusione di larga parte dell’opinione pubblica nei confronti dei partiti tradizionali. Nel «vuoto» di risposta si sono facilmente incuneate forze politiche che sbandieravano il vessillo antieuropeista, lanciando slogan di matrice xenofoba. Il «vento» del ritorno indietro dell’Unione europea verso vecchi nazionalismi spira con forza e incombe sulla elezioni europee della primavera prossima.

In alcuni Paesi le forze nazional-populiste non sono arrivate al governo, in Italia sì. Il «governo del cambiamento» è, da alcuni mesi, alle prese con il complesso problema di dare risposte alle attese del Paese. Governare non è mai facile, meno lo è nelle condizioni mondiali attuali, ancor meno in ragione delle vistose crepe che i governi precedenti si sono lasciati alle spalle. Nell’ultimo quinquennio gli esecutivi a trazione Pd non hanno saputo interpretare i bisogni e le esigenze di larghi strati della popolazione. Errore che ha aperto le porte alla vittoria di un movimento antisistema e di un partito fortemente nazionalista. Occorre riconoscere che tanto il M5s quanto la Lega hanno saputo ottimizzare a loro vantaggio il diffuso malcontento, raggiungendo un consenso maggiore del previsto alle elezioni del 4 marzo. Di lì è cominciata la «lunga marcia» verso l’ardua meta del «fare».

L’operato del governo, in questi mesi, va osservato sotto tre aspetti principali. I valori di riferimento (l’idea di Paese che esso ha); le competenze (di esperienza dei suoi componenti e dei loro collaboratori più stretti); la «stoffa» politica (attitudine alla mediazione e alla ricerca di soluzioni adeguate). Le difficoltà dell’esecutivo cominciano dall’eterogeneità delle priorità tra i contraenti del «programma». Non c’è quasi nulla su cui vi sia una reale compattezza di vedute e le decisioni prese sembrano, di volta in volta, un colpo al cerchio e uno alla botte: decreto sicurezza in cambio di reddito di cittadinanza, flat tax in cambio di «quota 100».

Sulle competenze – salvo alcune eccezioni – sarebbe meglio stendere un velo pietoso. Raramente si è vista una compagine governativa in cui molti (stra)parlano di cose che non sanno. Ma più grave e vistosa è la carenza di «stoffa». Le competenze si possono affinare, l’attitudine non si compra al mercato. Fanno quasi tenerezza vice-premier e ministri che, di fronte a errori palesi, fanno spallucce e rilanciano con imperturbabile serenità, dando a credere che la soluzione sia dietro l’angolo. «C’è sempre una soluzione facile per ogni problema: chiara, verosimile e sbagliata», affermava Henry Louis Mencken, giornalista e saggista statunitense. Giudizio che sembra calzare a pennello per molti punti del «contratto» stipulato tra M5s e Lega. Lo iato tra complessità dei problemi e gioioso dilettantismo è la vera palla al piede del governo giallo-verde. Palla al piede che rischia di far affondare il Paese.

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