L’Albania ferita
mentre si rialza

Il terremoto ha trafitto l’Albania nel suo momento storico più interessante e migliore. Lasciata alle spalle la tremenda dittatura comunista di Enver Hoxha, la sua caduta e l’implosione dello Stato in una devastante instabilità politica e sull’orlo duraturo di una guerra civile con le conseguenti emigrazioni di massa verso l’Italia (l’immagine simbolo è il mercantile «Vlora» attraccato a Bari l’8 agosto 1991 e sovrastato insieme alla banchina da 20 mila albanesi), il Paese delle aquile è in una fase di espansione.

Con una crescita economica del 4% annuo, in miglioramento, il tasso di inflazione media su livelli contenuti nel 2018 (+1,8%), la disoccupazione alta (12,2%, l’Italia è al 9,9%) ma in calo, un mercato bancario e finanziario che ha mostrato solidità e capacità di resistere alla crisi internazionale, l’Albania da terra d’emigrazione è diventata attrattiva per le imprese estere e per chi cerca lavoro. Soprattutto dall’Italia, primo partner commerciale (a questa trasformazione abbiamo dedicato un numero dell’inserto «Domenica», proprio perché meritava di essere approfondita).

Il sisma ha agito nella notte fra lunedì e ieri con una scossa di magnitudo 6.5, provocando numerosi danni agli edifici nella zona di Durazzo, sulla costa settentrionale. Decine di persone sono arrivate negli ospedali con fratture e altre lesioni. Il bilancio è di 23 morti e almeno 600 feriti secondo i dati del ministero degli Interni, ma è provvisorio: non è noto quanti siano i dispersi. Una seconda scossa, di magnitudo 5, è stata registrata invece poco dopo le 14 di ieri a nord di Durazzo. Il primo tremito è stato avvertito fino alla capitale Tirana, ma anche in Puglia, Basilicata, Campania e Abruzzo, Bulgaria, Bosnia (dove le persone per la paura hanno lasciato le case), Croazia, Grecia, Kosovo, Montenegro, Serbia e Macedonia del Nord. Subito è scattata la solidarietà internazionale, che si risveglia dovutamente almeno in queste circostanze tragiche. Dall’Italia sono state inviate unità mobili di sanità e colonne mobili della Protezione civile.

Anche la geopolitica ha fatto la sua parte. Il presidente del Kosovo (che ha dichiarato l’indipendenza dalla Serbia il 17 febbraio 2008) Hashim Thaci ha proclamato per oggi una giornata di lutto nazionale. Infatti oltre il 90% della popolazione kosovara è albanese.

Dall’Albania terrorizzata dal sisma sono arrivate anche testimonianze degli italiani che vivono oltre Adriatico, qualche migliaia di persone tra imprenditori, tecnici (mille nostre aziende sono presenti nel Paese delle aquile), centinaia di studenti che non superano il test nazionale di medicina in Italia e si iscrivono all’Università Nostra Signora del Buon Consiglio di Tirana, titolari di ristoranti, bar ed esercizi commerciali. La burocrazia albanese permette di aprire attività in pochi giorni, con una tassazione agevolata.

Il terremoto è arrivato pochi giorni dopo lo schiaffo ricevuto dall’Albania (a dalla Macedonia del Nord) alla richiesta d’adesione all’Unione europea lanciato dal presidente francese Emmanuel Macron, contrario a nuovi ingressi. Il no è stato deplorato dalla Cancelliera Angela Merkel (al Consiglio europeo). In lista d’attesa, tra i Paesi balcanici, ci sono anche Serbia e Bosnia, mentre la Croazia è il 28° Stato membro dell’Ue (il 27° quando sarà operativa la Brexit). Strano destino: nei Paesi dell’Unione ci sono partiti che propugnano l’uscita, in quell’area che noi fatichiamo a concepire come Europa c’è chi vuole entrare. Si tratta di nazioni con una popolazione giovane e voglia di crescere. Abbiamo assistito ai conflitti che hanno dissolto l’ex Jugoslavia come a qualcosa che non ci riguardava, compreso il massacro di Srebrenica e l’assedio di Sarajevo (il più lungo dalla Seconda guerra mondiale: 12 mila morti, di cui oltre mille bambini, tra una popolazione di 275 mila abitanti).

Il no all’ingresso di nuovi Stati getta però nella disillusione un’intera regione, i Balcani, che è Europa: lo dicono la geografia, la storia e i legami commerciali. Tragedie e bellezze sull’uscio di casa nostra.

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