Antidoto al bullismo
si chiama «adulto»

Secondo l’Istat in una recente ricerca in Italia un adolescente su due subirebbe o avrebbe subito episodi di bullismo. L’età è fra gli 11 e i 17 anni, anche se il periodo più critico è fra 11 e 13. Alle forme di minaccia fisica ora si sono aggiunte quelle che arrivano tramite i social, vissute con ancor più paura dai ragazzi e in particolare dalle ragazze. È un fenomeno davanti al quale gli adulti si trovano come paralizzati: da una parte i professori devono loro stessi mettersi al riparo dai violenti e cercare di mantenere difficilissimi equilibri nelle classi. Dall’altra i genitori spessissimo chiudono gli occhi e finiscono con l’assolvere i figli responsabili di soprusi nei confronti dei compagni, per non sapere come affrontare il rapporto con loro.

Eppure per questo fenomeno che riempie le cronache oramai a ritmo quasi quotidiano, un antidoto c’è. E questo antidoto si chiama proprio «figura adulta». Quello che all’inizio di quest’anno scolastico è successo al liceo Fogazzaro di Vicenza è straordinariamente indicativo. Qui l’iniziativa è partita appunto da un adulto. Un «adulto-adulto», bisognerebbe precisare. Il professore Simone Ariot, docente di Italiano e Storia, si è presentato in classe con un’idea: stendere insieme ai ragazzi un «contratto» che poi tutti avrebbero dovuto sottoscrivere. Al di là dei contenuti, comunque interessanti e non proprio scontati, è stata proprio la forma del «contratto» la carta vincente: i ragazzi lo hanno portato a casa, ci hanno riflettuto sopra e poi lo hanno firmato in duplice copia, una per sé l’altra come patrimonio comune della classe.

Come ha spiegato il professore l’intento era quello di simulare un contratto da adulti, tra adulti, anche se evidentemente senza nessun valore giuridico. I ragazzi si sono sentiti considerati e responsabilizzati perché destinatari di un documento discusso e condiviso e poi messo per iscritto che li chiamava direttamente in causa, chiedendo loro di assumersi la responsabilità di sottoscrivere. È una dinamica esattamente contraria a quanto in genere accade, quando i rapporti tra adulti e ragazzi si assestano al ribasso su un orizzonte adolescenziale.

Chiamati a giocare allo scoperto e ad accettare le loro responsabilità, i ragazzi hanno anche accettato di inserire nel «contratto» argomenti in genere «non negoziabili», come ad esempio l’abbigliamento da tenere in classe. Nel «contratto» hanno messo la loro firma sulla regola che a scuola non si arriva con pantaloni corti o con la minigonna. Ma più che short e minigonna, la parola chiave introdotta nel «contratto» è proprio la parola «regola». Una «regola» che è stata discussa e alla fine accettata, in modo anche formale, e che quindi diventa un qualcosa di obbligante.

Il bello dell’esperienza del liceo di Vicenza è che si pone su un piano di assoluta normalità. Non c’è un insegnante eroe o carismatico, ma un insegnante che semplicemente assume in pieno il suo ruolo, con convinzione e senza timori. Un capitolo del «contratto» è infatti dedicato proprio alla figura del docente, che non è un «nemico» da affrontare, ma semmai un adulto a cui «esprimere i dubbi», un «membro della stessa squadra», anche se ha i galloni del capitano.

Il secondo fattore vincente del «contratto» è l’idea che i ragazzi sono chiamati a percorsi di cooperazione più che di competizione. Per cooperazione si intende anche un’attenzione comune e condivisa affinché le regole sottoscritte vengano rispettate da tutti: una situazione che mette nell’angolo gli aspiranti bulli.

Il modello del professor Ariot, infine, è facilmente replicabile. In fondo la condizione per realizzarlo è una sola: che un adulto si atteggi da adulto e consideri come potenzialmente tali anche i ragazzi che ha davanti.

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