Lavoro, crescita
e responsabilità

Lavoro, crescita e responsabilità sono le parole-chiave dell’assemblea di Confindustria Bergamo, che ha rappresentato una novità per almeno due motivi. Il primo riguarda il tono coraggioso, carico di passione civile, del presidente Stefano Scaglia, andato oltre il perimetro della pura economia e non a caso sottolineato da ripetuti applausi. Una critica, la sua, senza nomi e cognomi, ma esplicita contro i due populismi. Parole che vengono non da una frontiera corporativa, dalla difesa di interessi legittimi ma di parte, bensì da chi si assume la responsabilità di un’idea di società inclusiva sotto la bandiera dell’«orgoglio della responsabilità».

Il secondo aspetto, che segue per effetto logico e per margini di manovra probabilmente più agibili, è che il leader degli industriali bergamaschi ha criticato il governo senza confondersi con l’opposizione: ha riunito entrambi, distinguendo ciascuno con limiti specifici, nel giudizio negativo. Dunque l’impressione, anzi qualcosa di più, è che Confindustria reagisca ad un clima culturale ostile alla fabbrica, alla cultura industriale, all’armamentario ideologico della decrescita felice e ad un «futuro fiabesco», rimotivando la propria responsabilità verso l’interesse generale. Gioca in campo aperto, non in difesa, assumendo i vincoli della classe dirigente.

Non è una svolta perché si dirà che è sempre stato così, tuttavia in questa circostanza il timbro è stato più significativo del solito e a tratti inusuale. Ed è stato percepito in questi termini, in un passaggio peraltro delicato per l’universo imprenditoriale: la dimensione di una certa solitudine colta qua e là, in un contesto nazionale affollato da parole d’ordine che vanno in altre direzioni, lontane dalle atmosfere della fabbrica. C’è un pezzo di politica che rema contro la crescita e il lavoro. Di più: il lavoro, la sua cittadinanza, sta perdendo la primazia.

Il sindaco Giorgio Gori, il primo a intervenire, lo ha detto chiaramente: il lavoro va rimesso al centro dell’agenda in un Paese che fatica a riprendere il cammino del rilancio, con un governo che non ha ancora un’idea di Paese. La cornice internazionale non è incoraggiante: guerra dei dazi, recessione tedesca, rallentamento dell’economia globale. Soffre anche l’isola felix bergamasca e in parallelo sta cedendo pure l’altra capitale della manifattura italiana, Brescia, come segnalava ieri «Il Sole 24 Ore» in apertura di prima pagina. Ma se il motivo conduttore è lo sviluppo sostenibile – avverte il presidente nazionale, Vincenzo Boccia, parlando del gran pasticcio dell’ex Ilva di Taranto –, occorre chiarire un punto: in virtù della sostenibilità ambientale non si possono penalizzare le altre due indispensabili sostenibilità, quella sociale ed economica. La cultura della complessità chiede di battere l’ipersemplificazione, chiamando gli industriali a continuare a fare la loro parte: più di prima.

Boccia e Scaglia usano parole diverse, ma il senso è lo stesso. «Vogliamo essere corresponsabili di una società diversa», dice il primo. Tutto si tiene, avverte il secondo, ed è qui il colpo d’ala: libertà, democrazia, benessere. No all’intolleranza e alla violenza. Con i «balconi» e i «pieni poteri», sappiamo dove si finisce. Entrambi i presidenti riaffermano le critiche alla legge di bilancio, senza generalizzare. Bene la sterilizzazione dell’aumento Iva e la conferma di Industria 4.0, ma sotto tiro le microtasse (plastica, zucchero, auto aziendali) che colpiscono i fattori di produzione e la competitività. Sì alla lotta all’evasione fiscale, ma senza eccessi manettari. Il peggio è stato evitato, l’Italia non fa più paura all’Europa, tuttavia il sistema politico è quello che è e il Paese continua a non crescere.

Ma non si dà lavoro senza crescita: per dividere la torta, occorre prima realizzarla. Nell’era della comunicazione totale conta, però, il linguaggio che prefigura un progetto di società aperta ed è su questo versante il salto di qualità dell’assemblea di ieri. Boccia invita a «recuperare lo spirito di comunità», Scaglia chiama a raccolta per «uscire allo scoperto» e «fare squadra». Per tornare ai fondamentali: «prima la fabbrica, poi le case» come dicevano a suo tempo l’industriale Costa e il sindacalista Di Vittorio, citati da Boccia quale esempio virtuoso. Per richiamare in servizio la «responsabilità collettiva» nell’orizzonte di un «Paese di opportunità», come incalza Scaglia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA