Le critiche a Renzi
e il centro perduto

Su Renzi piovono critiche come pietre. Piovono da destra, da sinistra, dal centro. Dagli avversari e dagli alleati. Dalle sedi di partito e dalle arene televisive. Renzi egocentrico, Renzi narcisista, Renzi opportunista, Renzi assetato di potere, Renzi autore di «un’operazione malvagia», Renzi asserragliato nel palazzo. Non s’è mai sentito un coro tanto unanime di critiche. I casi sono due. O il capo di «Italia Viva» le ha sbagliate tutte, nel senso che è stato capace di farsi solo nemici, o tutti lo osteggiano proprio perché lo temono. Che sia un’iniziativa suicida o una sfida capace di suscitare solo nemici, il risultato non cambia. Saremmo comunque in presenza di un fallimento annunciato. Peraltro, i precedenti sono per lui tutti negativi. Sono finite male le ultime scissioni a sinistra di cui si abbia memoria: sia quella operata da Rutelli nel 2009 sia quella di Bersani nel 2017.

Dobbiamo concludere quindi che l’ex premier, l’ex segretario del Pd, l’unico politico di sinistra che ha fatto assaporare alla «ditta» l’ebbrezza di toccare per una volta almeno la vetta del 40%, non abbia scampo? È presto per dirlo. Qualche chance comunque ce l’ha. Dispone, se non altro, di due risorse non trascurabili. Primo: si è dimostrato uno dei pochi politici – a sinistra forse l’unico – con le qualità (con il quid, direbbe Berlusconi) che hanno solo i leader. Secondo: ha mostrato di possedere un’abilità tattica formidabile. Ha sfoggiato quello che nella boxe si chiama uno-due (la formazione del governo Conte bis seguito a stretta distanza dalla scissione dal Pd) che lo ha tolto dall’angolo. Ha scongiurato così la fine anticipata della legislatura che avrebbe falcidiato il suo seguito di parlamentari e consegnato l’Italia (non si sa per quanto tempo) al nemico Salvini.

Ha incastrato poi Zingaretti nel garbuglio di un’alleanza, innaturale per il Pd, con i Cinquestelle. Si è assicurato infine la golden share della maggioranza. Risultato: d’ora in poi, Di Maio si vedrà costretto a convivere con il Giglio magico di cui non voleva più sentir parlare e Conte dovrà fare la piega di trattare con un nuovo alleato che si annuncia assai ingombrante. Di tatticismi di palazzo comunque nessuno vive a lungo. A restare asserragliati nelle aule del potere si rischia l’asfissia. Per non soccombere c’è bisogno di ossigeno e in politica l’ossigeno si chiama consenso: quello vero, che danno solo gli elettori, non gli eletti.

È su questo fronte, al netto della deprecata somma sua spregiudicatezza, che Renzi giocherà il suo futuro politico. Dove raccoglierlo? Con una destra e una sinistra saldamente presidiate, non resta che il centro. Ormai una specie di Araba fenice: ammesso che ci sia ancora, non si sa come rianimarlo. Per cinquant’anni traeva la sua forza dai ceti medi. Adesso questi, piegati dalla crisi, sono diventati diffidenti di tutti, soprattutto da chi odora di potere.

Per riconquistarli ci vuole ben altro del tatticismo. Ci vuole capacità di ascolto e di presenza sul territorio e un’idea forte capace di rianimare la speranza in un nuovo risorgimento dell’Italia. Per il momento Renzi ha piantato la sua bandierina sul territorio del centro. Ora lo aspetta il compito più difficile: conquistarlo.

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